Intanto Massimiliano Grasso si è dimesso da addetto stampa e portavoce della Fondazione che risparmierà 14 mila euro all’anno
CIVITAVECCHIA – Prima di parlare delle ultime notizie legate a Danilo Larini, il Madoff Ticinese, corre l’obbligo di annunciare le prime dimissioni ufficiali di un membro della Fondazione Cariciv di Civitavecchia. Si tratta di Massimiliano Grasso che, dopo tanti anni trascorsi con Cacciaglia & Co. lascia l’incarico di addetto stampa e portavoce.
Dietro queste dimissioni tante dissertazioni in città. Scartata l’ipotesi di incompatibilità con il suo ruolo di portavoce e addetto stampa dell’Autorità Portuale sembra più probabile che la scelta sia stata dettata dal fatto che, avendo questo ruolo, gli organi di informazione di sua proprietà, La Provincia e Civonline (la televisione Mecenate l’ha ceduta alla Fondazione stessa) non abbia potuto mai scrivere o far scrivere nulla, censurando ogni notizia che riguardava in modo negativo la Fondazione o i suoi inguardabili gestori, come una sorta di gentlemen’s agreement (a pagamento).
Con le sue dimissioni, adesso, forse qualche notizia in più sarà possibile leggerla (forse).
Torniamo però su Danilo Larini, ribattezzato il Madoff del Ticino.
Nel 2015, a fronte del ridimensionamento della piazza finanziaria ticinese, le inchieste per reati economici sono aumentate del 25%. “L’allarme è giustificato” afferma il procuratore generale John Noseda.
Al centro delle indagini ci sono casi semplici, ma anche clamorosi e clamorosissimi. Coinvolgono personaggi misteriosi stranieri e colletti bianchi nostrani. Come appunto il fiduciario Danilo Larini arrestato lo scorso novembre e che, stando alle ultime cifre, ha lasciato dietro di sé un buco di 70 milioni di franchi, di cui 25 forniti della Fondazione Cassa di risparmio Civitavecchia.
In queste ultime settimane poco o niente si è scritto e detto di una vicenda a dir poco imbarazzante per chi continua a sedere comodamente sulle poltrone del cda di una Fondazione ormai sbancata.
Non se ne parla a Civitavecchia ma in Svizzera e sui quotidiani nazionali sì. Il “fenomeno” di Marcote è tornato in libertà e siamo in attesa che ci fissi una data per un intervista in esclusiva. Nel frattempo, la compagnia assicurativa chiamata in causa anche dalla Fondazione, pare aver dimostrato di non dovere nulla a tutti quei soggetti colpiti dalla malversazione del broker italo-svizzero.
La Compagnia è serena: tutte le verifiche e le “due diligence” sono state fatte e documentate.
Lui, Danilo Larini, 43 anni, capello imbrillantinato e vestiti d’alta classe, da qualche tempo non soggiorna più nel carcere luganese La Farera.
Resta, però persona sottoposta a indagini, sia pure a a piede libero. Su di lui indaga il procuratore pubblico di Lugano Andrea Minesso, lo stesso che ha scavato sulle peripezie finanziarie di Davide Enderlin, “braccio” svizzero di Giovanni Berneschi ex padre e padrone della Carige, sotto processo a Genova.
Larini è accusato di avere architettato, organizzato e messo a segno una serie di colpi mancini ai danni di persone fisiche e giuridiche, soprattutto italiane, avvalendosi di una struttura “povera” quanto a personale ma ricchissima quanto a inventiva e a contatti privilegiati.
Tra i truffati spicca la Fondazione Cassa di Risparmio di Civitavecchia, con un ammanco di cassa stimato in 19 milioni di euro (ma potevano essere 25), mentre spuntano sempre più numerosi i soggetti privati convinti da Larini a investire il loro denaro in polizze di certificate compagnie assicurative (tutte con base a Vaduz nel Liechtenstein, nel caso della fondazione, la Nucleus Ag) da lui stesso rappresentate come broker.
Sospettano i magistrati svizzeri che nelle fasi successive alla sottoscrizione delle polizze, Larini facesse incetta del denaro raccolto per farne ciò che voleva, organizzando una sorta di schema Ponzi la cui pericolosità era direttamente proporzionale al livello e alla notorietà delle Compagnie assicurative chiamate in causa quali «garanti» delle operazioni.
C’è in particolare uno schema operativo seguito da Larini che appare interessante analizzare nella sua articolata dinamica.
Si tratta di un caso che coinvolge un investitore di Roma che ha versato somme per oltre quattro milioni di euro in alcune polizze vita della ValorLife (sede a Vaduz e a Dublino).
La compagnia sin qui si è chiamata fuori, facendo sapere di avere effettuato tutti i controlli e le due diligence necessarie e di ritenere “centrale” nello sviluppo della vicenda il rapporto diretto intrattenuto dall’investitore con il Larini, non escludendo di potersi costituire parte civile nei confronti dello stesso broker luganese.
Non così la pensano gli avvocati del danneggiato, il noto legale svizzero Paolo Bernasconi (lo stesso a cui Cacciaglia e D’Amico hanno affidato le sorti della Fondazione con parcelle da brivido) e il milanese Fabrizio Brock che hanno ricostruito l’accaduto in una memoria finalizzata a intimare alla compagnia la restituzione del denaro.
Per i legali, nel 2012, l’investitore venne convinto a sottoscrivere una polizza denominata Vipvalore privatissimo, un contratto definito nella modulistica a “versamenti liberi”.
L’iter, in apparenza normale, si è perfezionato con la regolare compilazione del questionario Mifid, che descriveva sia la natura dell’operazione, sia la propensione al rischio dell’investitore.
L’intera procedura era stata seguita da una funzionaria Valorlife (non più nell’organico aziendale): «Indicata nel suo biglietto da visita quale coordinatrice Divisione commerciale, che ha poi sottoscritto con la dicitura Funzionario ValorLife autorizzato».
Nei documenti si dava conto del fatto che la gestione del « pacchetto » era affidata alla Lp Suisse capital asset management Ag , società questa riconducibile a Danilo Larini e della banca depositaria (la Société Générale private banking di Lugano).
Tutto a posto dunque.
No perché quattro anni dopo il Larini veniva arrestato e in seguito l’interessato riceveva un’allarmante lettera della ValorLife in cui si diceva: «che la banca depositaria si trova costretta a bloccare ogni operatività sulla relazione riferita alla polizza (…) azzerando per ora a titolo prudenziale ( o cautelativo) il valore della stessa». Ivi compreso il valore dell’unico asset detenuto in portafoglio dalla polizza: obbligazioni di un fantomatica società battezzata Cerberus di cui era persino specificato il codice Isin. Un codice che però si svelò appartenere a società coinvolta in tutt’altro genere di affari (cacao).
Nel frattempo, continuano e in modo inspiegabile, le fantasiose ricostruzioni dell’avvocato D’Amico sulla vicenda. Recentemente intervistato da una televisione svizzera, ha raccontato che non erano preoccupati dell’arresto di Larini in quanto, da fonti a loro vicine, pensavano che i motivi dell’arresto fossero da attribuire a reati fiscali.
Purtroppo però, se avessero fatto fare bene il proprio lavoro al loro addetto stampa e portavoce Massimiliano Grasso, nonché alla corposa redazione di Mecenate Tv, avrebbero letto questo articolo (leggi) e forse si sarebbero mossi con largo anticipo per recuperare più di quanto siano riusciti a fare fino ad oggi.