Aveva 86 anni. Fu protagonista di alcune tra le stagioni più felici della produzione italiana. Si candidò con Forza Italia e lasciò un bimotore all’Aeroclub di Viterbo. Il ricordo di Stefano Caporossi
ROMA – E’ morto Bud Spencer (SCHEDA ANSA CINEMA) Per tutti era il gigante buono che menava sganassoni sempre in coppia con l’amicoTerence Hill (SCHEDA ANSA CINEMA). L’omone barbuto degli spaghetti western degli anni ’70, quelli che hanno conquistato generazioni di ragazzini innamorati dei due scanzonati protagonisti di Lo chiamavano Trinità.
Ma Carlo Pedersoli, classe 1929, per tutti Bud Spencer, morto questa sera in un ospedale romano, è stato in realtà protagonista di una carriera lunga e poliedrica nella quale, accanto ai film più popolari, c’è stato spazio per il thriller (diretto da Dario Argento in Quattro mosche di velluto grigio), per il cinema d’autore con Ermanno Olmi e persino per il dramma di denuncia civile con Torino nera di Carlo Lizzani. Tante esperienze, tanti successi, e anche un po’ di amarezza per non essere abbastanza considerato da quel mondo del cinema in cui era entrato un po’ per caso finendo per dedicargli la vita: “In Italia io e Terence Hill semplicemente non esistiamo – si lamentava negli ultimi anni – nonostante la grande popolarità che abbiamo anche oggi tra i bambini e i più giovani. Non ci hanno mai dato un premio, non ci invitano neppure ai festival.”
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L’ultima apparizione in tv era stata nel 2010 con I delitti del cuoco, fiction di Canale 5. E l’anno scorso era stato festeggiato a Napoli con una medaglia e una targa per la sua lunga carriera che gli aveva consegnato il sindaco De Magistris a Palazzo San Giacomo in nome della sua città.
Insieme o separati, Bud Spencer e Terence Hill hanno scritto momenti diversi e importanti di alcune tra le stagioni più felici della produzione italiana: dalla serie indimenticabile degli ‘Spaghetti western’ (un genere declinato a modo loro, fino a farne un marchio di fabbrica), all’avventura comica (altro genere in cui si sono diversamente specializzati), dal cinema di qualità (Spencer e’ stato anche un indimenticabile protagonista per Ermanno Olmi), alle produzioni internazionali di intrattenimento.
Carlo Pedersoli nasce a Napoli (quartiere Santa Lucia) il 31 ottobre del 1929. Il padre è un uomo d’affari bresciano e il lavoro lo porta lontano dal Golfo quando Carlo ha appena 11 anni e tutta la famiglia si trasferisce a Roma (quartiere Parioli) nel 1940. Lasciati gli amici di scuola (tra cui Luciano de Crescenzo), il ragazzo si iscrive al liceo e a un corso di nuoto, risultando brillante in entrambi i casi, tanto che arriva all’università (corso di chimica) ad appena 17 anni. A guerra finita, pero’, la famiglia cambia nuovamente città, i Pedersoli finiscono a Rio de Janeiro e Carlo deve abbandonare gli studi.
Farà l’operaio, il bibliotecario, il segretario d’ambasciata come nelle leggende delle star americane. Tornato a Roma, può riprendere gli studi ma soprattutto l’attività in piscina dove si segnala presto come un vero asso. Continua anche a studiare (questa volta giurisprudenza, laurea che porterà a buon fine nonostante gli exploit sportivi) e viene notato dal cinema nel pieno della stagione di Hollywood sul Tevere. Grazie al fisico scultoreo, viene scritturato come comparsa in ‘Quo Vadis?’ e poi finisce sul set di ‘Annibale’ dove non incontra mai il giovane attore Mario Girotti – Terence Hill – che diverrà il suo partner d’eccellenza pochi anni più tardi. Tocca a Mario Monicelli affidargli il primo, vero ruolo, quello del manesco Nando in ‘Un eroe dei nostri tempi’ (1955). Chiuderà col nuoto dopo i Giochi di Roma del 1960 e tornerà in Sud America per una lunga parentesi lontano dai suoi interessi.
Rientrato in Italia apre una propria società, sposa Maria Amato (la figlia del grande produttore Peppino Amato), mette al mondo i primi due figli, scrive canzoni ottenendo un discreto successo. Con il cinema la gavetta è lunga e Bud Spencer conquista il ruolo di protagonista nel western ‘Dio perdona io no’ soltanto nel 1967 grazie a Giuseppe Colizzi. Prima rifiutato per le richieste economiche ma poi arruolato perché risulta il solo adatto alla parte di gigantesco e minaccioso partner del protagonista, Pedersoli incontra qui di nuovo Mario Girotti.
I due decideranno, alla fine del film, di cambiare i propri nomi sui manifesti per attrarre il pubblico e Pedersoli sceglierà il suo in omaggio alla birra Bud e all’adorato Spencer Tracy. Il successo del film è più che lusinghiero, ma sarà l’episodio successivo, ‘Lo chiamavano Trinità’ (E.B. Clucher, 1970) a consacrare il successo personale del duo. Un vero e proprio colpo di fulmine con il pubblico che si ripeterà, infallibile, per altre 16 volte in tutto. Il cliché del personaggio e’ sempre lo stesso e Spencer lo riutilizzerà anche da solo: un gigante dal cuor d’oro che mena sganassoni, sorride sempre come un bambino, ristabilisce i torti e si gode la vita. Cow boy o investigatore (la serie di Steno ‘Piedone lo sbirro’), avventuriero o buon padre di famiglia, Bud Spencer mette perfino a punto un tipo di pugno a martello che lo renderà inconfondibile. (fonte Ansa)
Bud Spencer era anche un pilota d’aero. Ne ha posseduti diversi. Amava i vecchi bimotore che spesso ha pilotato anche in alcuni suoi film. In passato capitava spesso di incontrarlo all’Aero Club di Viterbo o all’Agriturismo Parco dei Cimini che era sorto da pochi mesi e dove abbiamo avuto modo di parlarci e farci raccontare qualche episodio inedito o qualche sua esperienza.
Il ricordo di Stefano Caporossi: “Quando conobbi Pedersoli, alias Bud Spencer, ero presidente dell’ormai fu Aero Club di Viterbo. Grande persona. Generoso e buono come lo si vedeva nei film. Nonostante fosse già grande la sua stazza incuteva timore. Molti lo conoscono come l’eterno buono al fianco di Terence Hill ma di lui c’era anche lo spirito del gabbiano di Livingston. Amava volare. Quando ho visto i suoi documenti di pilota sono rimasto impressionato.
Nel 1975- prosegue Caporossi – aveva conseguito la licenza di pilota di elicottero per l’Italia, la Svizzera e gli Stati Uniti.
Mi raccontò del suo primo volo effettuato sul set di …più forte ragazzi! o qualcosa del genere.
Ci perdemmo poi nell’ascoltarlo di quella volta che, dopo aver visto in diverse scene lo stuntman-pilota effettuare alcune manovre, su propria iniziativa e lasciando tutti di stucco spiccò il volo con l’aereo manovrando i comandi da solo e senza aiuti.
Ci disse del terrore stampato sul volto del produttore in quei momenti. L’atterraggio, “a quaglia” (cioè effettuato a “balzi” sulla pista fino a fermarsi), fortunatamente riuscì.
All’epoca aveva oltre 1.000 ore di volo con l’elicottero, mentre ne aveva più del doppio per gli aerei. Difficile poterlo dimenticare o cancellare dalla mia memoria i suoi racconti, spesso fatti in cuffia mentre sorvolavamo Tarquinia, Montalto di Castro fino ad arrivare all’Argentario. Purtroppo sono in Sardegna, altrimenti avrei potuto cercare tra le foto qualche scatto di allora”.