La ricostruzione dell’attacco nel ristorante di Dacca L’atroce selezione dei tagliagole prima del massacro
Le bestie che si nascondono dietro l’Islam hanno fatto la loro atroce selezione. Le vittime sono state passate al setaccio del loro credo religioso. Per gli oltre trenta ostaggi dei terroristi barricati nel ristorante-caffetteria «Holey Artisan Bakery» di Dacca la conoscenza del Corano ha fatto la differenza fra la salvezza e la condanna a morte. Chi recitava i versi del «libro sacro» veniva risparmiato. Chi non poteva farlo, è stato prima torturato e poi ucciso. Senza esitazione. Senza pietà. Così sono morte venti delle persone prigioniere nel locale della capitale del Bangladesh che sorge a meno di centro metri dalla nostra ambasciata. Tra loro, ha confermato ieri la Farnesina, ci sono purtroppo anche nove italiani. Si tratta di Adele Puglisi, Marco Tondat, Claudia Maria D’Antona, Nadia Benedetti, Vincenzo D’Allestro, Maria Rivoli, Cristian Rossi, Claudio Cappelli e Simona Monti.
I loro cadaveri sono stati trovati orribilmente massacrati dopo l’intervento delle forze speciali, che hanno ucciso sei jihadisti e catturato un settimo, nel ristorante dove stavano trascorrendo un tranquillo venerdì sera a cena. Tredici gli ostaggi tratti in salvo e circa 26 i feriti. Tutto comincia alle 20,45 (ora locale, da noi 4 ore prima). Il commando di tagliagole islamici armato di pistole, mitra, bombe a mano, machete e spade fa irruzione nel locale passando dalle cucine. Due poliziotti e un civile vengono uccisi subito. Alcuni dipendenti vedono gli jihadisti sparare e urlare «Allah Akbar» e se la danno a gambe. Una volta all’interno, i terroristi fanno prigionieri 30-33 tra clienti e dipendenti. Sono quasi tutti stranieri e 11 sono italiani, mentre il dodicesimo, lo chef veronese Jacopo Bioni, 34 anni, si nasconde sul tetto e quindi riesce a dileguarsi. Un altro italiano, Gianni Boschetti, grossista di abbigliamento, è vivo grazie a una telefonata che lo ha spinto a uscire dal ristorante poco prima dell’arrivo dei terroristi. La polizia lo ha «recuperato» illeso.
La moglie, invece, è rimasta nel locale ed è stata trovata senza vita una volta finito tutto. La «Bakery» viene circondata dalle forze dell’ordine. Verso le 23,20 si tenta di intavolare una trattativa con i terroristi, ma invano. «Non sembrano voler trattare, si teme una strage», avvertiva in diretta con il Tg1 l’ambasciatore italiano a Dacca Mario Palma. Una valutazione profetica. Intanto, mentre le «teste di cuoio» si preparano a intervenire, nel locale si dà inizio al massacro. «Gli assalitori non si sono comportati male con i connazionali del Bangladesh – ha spiegato Rezaul Karim, padre di Hasnat Karim, che era tra ostaggi – Verificavano qual era la religione dei prigionieri e chiedevano a ognuno di loro di recitare versi del Corano. Chi era in grado di farlo veniva risparmiato, gli altri torturati». E uno dei gestori del ristorante, Sumon Reza, ha raccontato che gli assalitori erano relativamente giovani, non avevano più di trent’anni, erano molto magri e impugnavano armi da fuoco leggere: «Hanno usato esplosivi per respingere la polizia», ha detto. Nella notte si susseguono i colpi d’arma da fuoco all’interno del ristorante. Arrivano le rivendicazioni di Isis e di un’organizzazione vicina ad al Qaeda, impegnate da tempo in una sanguinaria competizione. Si capisce che ormai non c’è tempo da perdere. Sono trascorse otto ore dall’inizio dell’attacco. Alle 7,30 del mattino circa cento uomini delle forze speciali entrano in azione. Terminato il raid, durato circa 60 minuti e battezzato «Operazione Thunderbolt» come quella israeliana del luglio ’67 a Entebbe, sul pavimento lordo di sangue ci sono venti cadaveri e molti feriti. «Abbiamo recuperato venti corpi – ha spiegato il generale dell’esercito Nayeem Ashfaq Chowdhury – La maggior parte con brutali ferite da arma da taglio. Probabilmente machete».
L’attentato è stato portato a termine non lontano dal punto in cui il 28 settembre 2015 fu ucciso il cooperante Cesare Tavella, 50 anni, vittima di un agguato nel quartiere diplomatico. L’uomo, che lavorava per una Ong olandese, stava facendo jogging quando è stato colpito da numerosi colpi d’arma da fuoco. L’Isis si prese la paternità dell’omicidio. Come dicevamo, l’attacco è stato tempestivamente rivendicato dal Califfato con un comunicato diffuso dall’agenzia di stampa fiancheggiatrice Amaq, ripreso da Site. Lo stesso ha fatto Ansar al-Sharia Bangladesh, organizzazione qaedista locale. Per Lorenzo Vidino, direttore del programma sull’estremismo alla «Gwerge Washington University», in Bangladesh e nel subcontinente indiano c’è un forte fermento jihadista, motivo per cui al-Qaeda e Isis sono attivi in questa fase con l’obiettivo di far proseliti e affermare la loro leadership nell’area.