Chiesa e Casa di Santa Rosa
La chiesa di S. Rosa fu riedificata nel 1850 sul luogo di un preesistente tempio di pertinenza delle monache Clarisse, per iniziativa dell’allora vescovo della città. Al posto dell’edificio attuale sorgevano una piccola chiesa ed un monastero, inizialmente intitolati a S. Maria, retti dalle Povere Sorelle di S. Damiano d’Assisi (nome del primo Ordine monastico femminile, detto anche delle Damianite, denominato delle Clarisse dopo la canonizzazione di S. Chiara nel duomo di Anagni). Nell’antico complesso, di cui si ha notizia a partire dal 1235, nel 1258 papa Alessandro IV (1254-1261) fece traslare il corpo di S. Rosa (che giaceva già presso la vicina chiesa di S. Maria in Poggio, altrimenti nota come chiesa della Crocetta), e verso la metà del secolo successivo invalse la nuova dedicazione alla santa che divenne la patrona di Viterbo.
Il tempio primitivo, distrutto una prima volta nel 1350, fu mirabilmente affrescato da Benozzo Gozzoli alla metà del Quattrocento, con la rappresentazione di episodi della vita di S. Rosa. Dopo i radicali lavori di rifacimento ed ingrandimento della chiesa, intrapresi intorno alla metà del Seicento, i capolavori andarono perduti: se ne conservano attualmente nove copie acquerellate presso il museo Civico della città (modesta opera seicentesca del pittore orvietano F. Sabatini, che aiuta tuttavia ad avere un’idea dell’originario aspetto della chiesa di S. Rosa); due disegni preparatori realizzati dallo stesso Gozzoli per la chiesa delle Clarisse, anche se mai trasferiti in affresco, sono invece presso il Britisch Museum di Londra e al gabinetto delle Stampe di Dresda. La ricostruzione dell’edificio alla metà dell’Ottocento fu ispirata alle forme della chiesa cinquecentesca di S. Maria delle Fortezze (oggi pressoché distrutta), secondo un connubio di stilemi tardo-rinascimentali e neoclassici che non riuscì tuttavia a far rivivere l’antica spiritualità del luogo. Alla struttura, interamente realizzata in peperino, nel 1913 l’architetto A. Foschini aggiunse la nuova cupola, più grande della precedente, con un suggestivo rivestimento di maioliche (successivamente occultato da lastre di piombo).
Secondo la leggenda S. Rosa implorò con passione di essere ammessa nell’Ordine delle Clarisse, senza mai riuscire nell’intento poiché considerata una ribelle. A pochi anni dalla sua scomparsa papa Alessandro IV, dopo averla avuta più volte in sogno, cercò di glorificarne la memoria facendone traslare il corpo nei pressi del luogo a lei tanto caro. A quest’episodio allude la celebrazione del “trasporto” della cosiddetta “macchina di S. Rosa”, che ha luogo ogni anno a Viterbo: un’enorme costruzione in cartapesta in forma di campanile viene appunto trasportata per le strade della città, dalla chiesa di S. Sisto fino al santuario di S. Rosa, per raggiungere il quale la tradizione vuole che i “facchini” facciano le scale di corsa. La chiesa viterbese è altrimenti nota per avere accanto la casa dove S. Rosa nacque nel 1233 e dove morì nel 1252, annessa al santuario nel 1661 per volere delle monache. La stanza più interna dell’antica abitazione è stata destinata ad oratorio delle consorelle, mentre in un vano del piano superiore è stato allestito, dalle stesse monache, un Presepe permanente. Nella modesta costruzione, che si sviluppa su due piani, si conserva ancora l’arca lignea dipinta che conteneva il corpo della santa.
Secondo la leggenda S. Rosa implorò con passione di essere ammessa nell’Ordine delle Clarisse, senza mai riuscire nell’intento poiché considerata una ribelle. A pochi anni dalla sua scomparsa papa Alessandro IV, dopo averla avuta più volte in sogno, cercò di glorificarne la memoria facendone traslare il corpo nei pressi del luogo a lei tanto caro.