Il presidente della Regione Lazio chiamato a testimoniare: “Avrei dovuto giustificarmi delle false accuse di Buzzi quando dovrebbe essere lui a spiegare perché me le ha rivolte”
ROMA – Il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, chiamato a testimoniare nel processo Mafia Capitale, si è avvalso della facoltà di non rispondere, approfittando del fatto che ancora indagato per corruzione e turbativa d’asta in un procedimento connesso.
La Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione della sua posizione, ma in attesa della decisione del giudice delle indagini preliminari, ha avuto la possibilità di scegliere di non rispondere alle domande dei difensori degli imputati del maxi processo.
Una cosa che ha lasciato tutti basiti in quanto si aspettavano finalmente delle risposte da uno dei principali accusati da Buzzi negli ultimi interrogatori che ha goduto però, non solo di coperture (non era mai trapelata la sua posizione da indagato) ma anche di salvacondotti che lo hanno portato alla richiesta di archiviazione dando per scontato che Buzzi sia l’unico colpevole di questa vicenda insieme a Carminati.
Questa la prima motivazione. La seconda è legata alla recente testimonianza rilasciata Micaela Campana.
Trentanove. E’ il numero dei “non ricordo” che Micaela Campana, deputata Pd e membro delle Commissioni Giustizia e Schengen, ha pronunciato nell’aula di Rebibbia, durante la 128esima udienza del maxi processo Mafia Capitale, come teste della difesa del ras delle coop rosse, Salvatore Buzzi. La deposizione della parlamentare, dal 16 settembre 2014 nominata da Matteo Renzi come responsabile su welfare e terzo settore alla segreteria del Pd, è stata ritenuta inattendibile dai magistrati, i quali intendono iscrivere Campana nel registro degli indagati per falsa testimonianza. Svariati i passaggi in cui la deputata cadenza la sua deposizione, durata quasi due ore, con una sfilza di imprecisioni e di amnesie, guadagnandosi rimbrotti reiterati e severi da parte della presidente del collegio giudicante, Rosanna Iannello, che l’ha esortata più volte a dire la verità. La prima raffica di “non ricordo” riguarda l’incontro tra Buzzi e il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico: la deputata dem non ricorda i dettagli dell’accordo, svicola dinanzi a domande precise, nega circostanze ben definite nelle intercettazioni telefoniche. “Non ricordo se Buzzi mi indicò le motivazioni per cui mi chiese quell’incontro”, afferma Campana, che, di fronte all’incalzare delle domande del difensore del presidente della Cooperativa 29 giugno, motiva il black-out mnemonico perché sono passati diversi mesi. Ad altri quesiti del difensore di Buzzi, la parlamentare replica con incertezza, facendo sbottare la presidente della Corte, Rossana Ianniello: “Lei non può rispondere dicendo: ‘Probabilmente sì’.
Lei è una componente della Commissione Giustizia e dovrebbe sapere che il testimone risponde sui fatti di cui è a conoscenza. E qui non facciamo giudizi sulla base di probabilità”. All’ennesimo “non ricordo” di Campana, Ianniello è costretta a ricordarle la gravità di una testimonianza falsa in un processo e rincara: “Lei è anche una persona giovane, quindi questo “non ricordo” continuo come ce lo spiega?“. “Faccio anche altre cose“, è la risposta lapidaria della parlamentare Pd.
“Si è determinata una situazione paradossale in cui sarei stato chiamato a giustificarmi delle false accuse mosse da Buzzi quando dovrebbe essere lui a spiegare perché me le ha rivolte – ha scritto in una nota Zingaretti – ovviamente non mi sottrarrò al dovere della trasparenza e dal rendere pubblici tutti i fatti di mia conoscenza. Chiederò io stesso di essere sentito come testimone nel processo per calunnia conseguente alla mia denuncia nei confronti di Buzzi“.