Donna muore per una piaga di decubito, la Regione Lazio avvia degli accertamenti su l’ADI Assistenza Domiciliare Integrata della ASL di Viterbo, il passo falso del Direttore Generale della ASL di Viterbo.
Vittorina Nicodemi morì il 07/08/2012 dopo essere stata presuntivamente curata a domicilio per circa nove mesi da un’equipe di sanitari dell’ADI Assistenza Domiciliare Integrata della ASL di Viterbo.
Il figlio, Giorgio Bernardi, non è convinto delle presunte cure praticate alla defunta madre, il suo pensiero corre allora a tutte quelle persone che sono ancora assistite dall’ADI della ASL di Viterbo, persone quasi sempre molto anziane ed indifese.
L’ADI della ASL di Viterbo ha lo scopo di evitare i costi dell’ospedalizzazione e per questa sua opera riceve finanziamenti pubblici dal Fondo della Non Autosufficienza tramite la Regione Lazio.
Bernardi si rivolge allora all’Ufficio Requisiti della Regione Lazio e chiede degli accertamenti sul rispetto di quelli che sono i requisiti minimi strutturali dettati nella Delibera Giunta Regionale del Lazio DGR n. 325 del 23/04/2008 per poter esercitare l’attività di “assistenza domiciliare integrata” e quindi ricevere i finanziamenti del Fondo della Non Autosufficienza.
Dalle prime indagini effettuate dalla Regione Lazio emerge una lettera del Direttore Generale della ASL di Viterbo, Daniela Donetti, ove si legge che “…..Preso atto della relazione prodotta dalla Dott.ssa A.R. Caporossi ed analizzata la medesima, ivi compresi tutti gli allegati prodotti, con la presente, si evidenzia alle SS.LL. che I’operato del servizio ADI e, tutte le azioni poste in essere dal personale ivi coinvolto, comprese quelle della Dott.ssa A.R. Caporossi, sono state poste in essere nel rispetto di linee guida, procedure e normative vigenti in materia….”.
Il Direttore Generale della ASL di Viterbo recita in modo non rispondente a realtà su “….rispetto di linee guida, procedure e normative vigenti in materia….” presuntivamente ignorando persino le linee guida stabilite proprio dalla stessa ASL di Viterbo in tema di acquisizione di consenso informato da soggetto incapace.
Si legge, infatti, nelle linee guida aziendali della AUSL Viterbo redatte in data 20/12/2011 Direzione Strategica – Risk Management per la produzione, validazione del Modello di Consenso Informato per soggetto minore e adulto inabile, incapace, interdetto, che: “….Paziente incapace. Quando un paziente, non interdetto e senza amministratore di sostegno, sia temporaneamente incapace di esprimere la propria volontà, il medico deve prestare le cure indispensabili ed indifferibili anche al fine di portare il paziente verso un miglioramento della propria capacità decisionale, Qualora dalla risultanza delle consulenze esperite e dallo scarso successo degli interventi terapeutici attuati si confermi lo stato di incapacità temporanea, si dovrà adire o al giudice tutelare per una amministrazione di sostegno o al Procuratore della Repubblica per l’iniziativa di un’interdizione, nel cui contesto potrà essere autorizzato l’intervento più opportuno” .
La Paziente deceduta fu quindi sottoposta a trattamenti sanitari dall’ADI della ASL di Viterbo senza acquisire il consenso informato – diritto costituzionalmente garantito – poiché presuntivamente considerata incapace dai sanitari ADI che però continuarono il loro trattamento per la cura di una piaga di decubito al tallone destro durato circa nove mesi – non ci si può pertanto di certo appellare al trattamento indifferibile – ovvero da novembre 2011 fino al 04/07/2012 senza avvisare il “….giudice tutelare…” o il “….Procuratore della Repubblica….” e senza così rispettare le suddette linee guida.
Scrive, infatti, la Responsabile ADI Caporossi che: “…..La sig.ra Nicodemi Vittorina era affetta da una demenza senile con gravi deficit cognitivi, non in grado quindì di comprendere ne’ lo stato di malattia ne’ i miei atti terapeutici…..”.
La Caporossi ciò nonostante ovvero essendo la Paziente palesemente incapace ha omesso rifiutato di avvisare il magistrato così come invece gli indicano le Linee guida della ASL di cui è dipendente .
Dalla relazione della Responsabile ADI emerge altresì che non fu redatta una “cartella clinica domiciliare” ovvero un atto pubblico con fede privilegiata bensì una cartella contenente un brogliaccio con annotazioni in ordine sparso e senza indicare le terapie eseguite.
L’ADI della ASL di Viterbo sembra anche non essere dotata d’un parco veicoli adeguato alle visite domiciliari da compiere, il Responsabile ADI infatti spiega nella sua relazione che l’ADI piuttosto che acquistare i veicoli – ed averli quindi a disposizione – preferisce chiedere ai dipendenti d’usare i veicoli personali e rifondere in cambio rimborsi in busta paga.
Gli Uffici della Regione Lazio stanno proseguendo i loro accertamenti.