17 Giugno 1983, ore quattro del mattino, in un albergo di Roma e con uno schieramento di forze degno della cattura di chissà quale pericoloso camorrista, viene arrestato Enzo Tortora.
La sua immagine, con le manette ai polsi, caricato su un auto dei carabinieri, circondato da una miriade di giornalisti, finisce su tutti i giornali.
La sera stessa, il giorno stesso, viene condannato come sicuro colpevole da una buona parte degli Italiani. Che forse non sanno neanche di cosa sia accusato, ma basta la foto sui giornali…
La giustizia impiegherà un poco più di tempo.
Una giustizia che ha in Tortora il nome di prestigio da dare in pasto ai media, che ha in Tortora il personaggio famoso e magari invidiato sul quale scaricare tutte le peggiori colpe.
Il pubblico ministero stesso confessa che il caso ruota tutto intorno alla sua figura, che diversamente si scioglierebbe come neve al sole.
Conta poco che il castello di carte dell’accusa sia costruito sulle dichiarazioni e le calunnie, mai verificate dagli inquirenti, di pentiti che cercano così, con probabili accordi con il pubblico ministero, di risparmiarsi qualche anno di galera per le accuse a loro carico.
Il 15 Settembre del 1986, la corte di appello di Napoli assolve Enzo Tortora, con formula piena, dall’accusa di associazione camorristica e spaccio di droga.
Il noto presentatore viene così riabilitato ma torna in televisione dopo molti anni dal giorno dell’arresto.
Torna con la sua trasmissione Portobello ed esordisce con la frase: dunque, dove eravamo rimasti?
Tutto come prima, quindi. In realtà nulla è più come prima, il sospetto è duro a morire in menti ottenebrate forse dall’invidia, forse dall’ignoranza. Chi lo aveva pubblicamente dato per colpevole, non se ne pente neanche un po’, pochi si scusano con lui.
Minato prima nello spirito che nel corpo, muore due anni dopo, il 18 Maggio 1988.
Vittima di uno dei più grossi casi di mala giustizia, di uno dei più eclatanti.
Chi lo giudicò, chi lo mise sotto accusa, chi portò avanti un processo basato sul nulla, non ha mai pagato. Anzi, furono tutti successivamente promossi alle più alte cariche.
Vittima di una condanna prima del processo, vittima di accuse infamanti, vittima del becero pettegolezzo, vittima di illustri nessuno che, in cerca di gloria, riempivano i giornali con le loro dichiarazioni.
Pensiamoci prima di condannare le persone basandoci su una foto su un giornale, su una indagine in corso, su una cattiveria dettata dal mal di pancia.
Pensiamoci.
Se poi la persona in questione risulterà innocente, noi avremo comunque affondato la nostra lama di insulti, maldicenze, sospetti, cattiverie.
Non siamo migliori dei veri delinquenti, le nostre mani non grondano sangue ma la nostra coscienza dovrebbe farlo.