NORCIA – La cronaca recente informa che la Procura di Spoleto ha inviato un avviso di garanzia al Sindaco di Norcia Nicola Alemanno perché avrebbe autorizzato la realizzazione di un centro polifunzionale della Pro loco di Ancarano con procedura d’urgenza. In pratica, le contestazioni sono di non avere seguito la procedura ordinaria, prevista per realizzare opere pubbliche e il fatto che la struttura, nel frattempo posta sotto sequestro, non sarebbe di natura emergenziale.
Primo fatto inconsueto, gli interventi di solidarietà da parte di tutte le forze politiche che, indipendentemente dal colore, hanno stigmatizzato l’accaduto, rendendosi conto, sia che il provvedimento appare inusitato, sia che i Sindaci, indipendentemente dalla loro appartenenza, sono in prima linea per rispondere alle esigenze dei cittadini e quelli dei piccoli comuni lo fanno in solitaria con la loro coscienza e il senso di responsabilità.
Il provvedimento, ad una valutazione obiettiva, appare paradossale e desta elevata preoccupazione, generando una serie di considerazioni che i lettori potranno autonomamente valutare.
Sotto il profilo specifico, un centro polifunzionale è certamente una struttura urgente, poiché in un territorio devastato da un sisma di elevate proporzioni, la possibilità di garantire la coesione sociale è un’esigenza primaria, soprattutto quando strutture analoghe sono andate distrutte. Nel caso di specie, peraltro, la struttura in contestazione è frutto di una donazione privata, quindi non grava sulla finanza pubblica.
Parimenti indubbio è che i provvedimenti a seguito di un terremoto non possono seguire i tempi delle procedure ordinarie, perché esse contrasterebbero con l’esigenza di rapidità degli interventi a favore di comunità colpite da fenomeni di gravità e natura eccezionali.
Ecco quindi profilarsi un primo problema esiziale. Se le Istituzioni non operano con rapidità, aggravano le conseguenze del terremoto, rendendosi responsabili di gravi omissioni con ricadute anche sotto il profilo penale. Se intervengono con procedura d’urgenza, deviando dalla prassi ordinaria, facilmente vengono accusate di avere commesso reati. In questa diatriba, di certo il danneggiato principale, oltre che i cittadini, è la credibilità del sistema paese, il quale dovrebbe mostrare il suo volto migliore, di efficienza e razionalità, soprattutto nel momento in cui i cittadini hanno bisogni improcrastinabili.
Nella gestione delle emergenze, quali un terremoto sicuramente è, si possono seguire due linee operative: o affidiamo la gestione ad un organismo ad hoc, dotato di pieni poteri, come potrebbe essere la Protezione Civile, o gli stessi pieni poteri vengono dati ai Sindaci dei territori colpiti dall’emergenza. In Italia la Protezione Civile, dopo gli eventi del terremoto aquilano, è stata sostanzialmente privata della possibilità di operare in autonomia e con procedure speditive, rendendola un organismo non sempre all’altezza dei propri teorici compiti istituzionali. Parallelamente, non si è inteso affidare tali facoltà ai Sindaci competenti per territorio, preferendo la strada della centralizzazione burocratica. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, ovvero macerie che non vengono sgomberate, ricostruzioni che non si avviano, un’emergenza che diventa un permanente modo di vivere, accrescendo, se mai possibile, il danno originario.
Sullo sfondo c’è la tracimazione della Magistratura, che vede ormai se stessa come l’unico organo deputato a stabilire i confini del bene e del male. Invero, è un problema di natura molto più ampia, ovvero si tratta del conflitto permanente tra poteri dello Stato, da decenni ormai in competizione tra loro, lungi dalla leale collaborazione prevista dalla Costituzione.
Storicamente, tale dannosa frattura si determina nei primi anni ’90 del secolo scorso, quando un Parlamento impaurito e sciocco, incalzato dagli eventi di “mani pulite”, abolì l’immunità parlamentare. Essa non era un privilegio, bensì fu concepita dai padri costituenti per bilanciare l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura. Il risultato è noto ed è all’origine del corto circuito istituzionale che impedisce all’Italia di diventare un paese normale.
La Magistratura è ormai un potere che pretende di sottomettere gli altri due (Legislativo ed Esecutivo), rifiutando ogni controllo sulla propria attività e concretizzando così non solo una mostruosità, ovvero l’idea di un potere senza responsabilità, ma anche la peggiore deriva possibile di un sistema democratico, che è la sua trasformazione in magistrocrazia. Questa situazione paradossale, unica tra le grandi democrazie liberali, ha anche una specifica concausa, ovvero l’idea folle di alcuni partiti politici, i quali hanno sperato di eliminare per via penale i propri avversari; in realtà, l’unica cosa che è stata eliminata per sempre è l’equilibrio dei poteri e conseguentemente lo stato di diritto.
Certamente, nessuno può negare che sia un interesse generale avere rappresentanti istituzionali onesti e corretti, ma tale esigenza non può essere devoluta ad una istituzione ormai affetta da delirio solipsitico ed autoreferenziale, essa dovrebbe essere garantita da efficienti sistemi di selezione della classe dirigente da parte dei partiti politici, con l’intervento giudiziario solo in casi eccezionali e con specifiche garanzie procedurali.
Realmente, come si può pensare che la Magistratura eserciti un controllo ferreo sulla politica, arrogandosi il diritto di non far candidare prima o fare dimettere dopo un rappresentante istituzionale, solo perché coinvolto in un procedimento giudiziario. Non infrequentemente, tali procedimenti si sono rivelati strumentali, privi di fondatezza e destinati a finire nel nulla, ma nel frattempo hanno distrutto vite, carriere e perché no, politici scomodi, influendo in maniera scorretta sugli equilibri politici che, non dimentichiamolo mai, sono effetto della volontà popolare, faro basilare della nostra Costituzione e della garanzia democratica.
Certamente, nel caso del Sindaco di Norcia, tale facoltà ha sconfinato oltre il buonsenso, danneggiando il bene comune e la fiducia nelle istituzioni, inducendo così nel futuro. un qualsiasi prossimo Sindaco, a farsi i fatti propri anziché quelli dei cittadini a lui affidati e questo non è bene, mai e per nessuno.
Dott. Raffaello Federighi