Firenze: tre cuori, un capannone e un Bitcoin
Tre cuori e un capannone. Ma anche un Bitcoin. Accade nella zona industriale di Calenzano, alle porte di Firenze, dove è sorta la prima fabbrica per produrre Bitcoin. Anche l’Italia si appresta dunque ad avere il suo primo mining pool, dato che minare Bitcoin è diventato impresa sempre più ardua. Tanto che in mole società stanno scappando nei Paesi dove la corrente elettrica costa molto poco.
Alla Bitminer Factory, hanno creato una piccola realtà industriale capace di produrre 100 macchine al mese, dando anche vita a una comunità di centinaia di persone che si scambiano conoscenze e informazioni in tema di «block chain». Come noto, la vera rivoluzione delle criptovalute, che potrebbe cambiare tanti sistemi: da quelli bancari (come già fa Ripple, che consente di cambiare valute diverse senza passare per il dollaro); a quelli elettorali; fino a quelli commerciali (come Ethereum, che consente la creazione di moderni smart contracts, i contratti digitali).
Tra i soci fondatori di questa start up troviamo Gabriele Stampa, 42 anni, una lunga esperienza alle spalle nel web marketing e nell’e-business. Ammette che il tutto sia iniziato «quasi per gioco un anno fa, quando ho letto un libro sulle criptovalute. Ho montato la prima macchina in un cestello di lavastoviglie e ci sono voluti dieci giorni di lavoro, mentre oggi se ne monta una in venti minuti». Dopodiché ha coinvolto il suo amico Stampa diventato socio, coinvolgendolo nel progetto. Il primo problema che hanno superato è stato l’enorme consumo di energia elettrica che essi richiedono. Hanno così ridotto i consumi di energia elettrica da 1500-1800 watt all’ora a 1000. In che modo? Riprogrammando i componenti hardware.
Del resto, come già dicevamo, il miners domestico ha proprio questo problema oltre alle spese da affrontare per dotarsi di un dispositivo tecnologico che gli consenta di minare Bitcoin. Chi vuole fare mining industriale deve saper gestire energia, impianti elettrici e termici. Quanto è costato il tutto? Inizialmente 250mila euro. Poi, lavorando dalle 8 di mattina alle 9 di sera, alla Bitminer Factory hanno iniziato ad assemblare macchine da 6mila euro con una qualità essenziale. Come rammenta lo stesso Stampa: il problema non è assemblare le componenti dei macchinari, ma farli funzionare senza che la corrente elettrica salti.
L’azienda di Calenzano non produce solo macchinari per fare mining di Bitcoin. Bensì, solo loro stessi creatori di Bitcoin. E le altre criptovalute. Oggi giunte ad oltre 1500. Loro hanno 22 macchine, ognuna delle quali dà 0,002 bitcoin al giorno, ma i soldi veri li fanno i grandi speculatori, perché le oscillazioni sono enormi, fra il 50 e il 60% al giorno. Basti ricordare ancora il succitato cambiamento drastico di valore: dai quasi 20mila di metà dicembre ai circa 8mila dollari di oggi.
Quindi, prosegue Gabriele Stampa, la scommessa vera non è tanto il guadagno sullo scambio delle criptovalute, quanto lo sviluppo futuro della tecnologia sottesa a questo genere di apparecchiature. Del resto, egli ritiene che minare le criptovalute vuol dire scommettere sulla realtà dei blockchain, di cui le valute virtuali sono espressione. Qui si creano dati che non si possono modificare ne riprodurre. Una nuova rivoluzione industriale insomma. Egli ritiene che l’archetipo della criptovaluta sia il gettone del telefono. La quale di fatto non era una vera e propria valuta ufficiale. Eppure, il suo valore veniva comunque riconosciuto, tanto da darlo anche come resto talvolta.
Chi sono oggi i miners di Bitcoin? Aziende, manager, fondi di investimento. Con quanti hanno deciso di acquistare le macchine della Bitminer Factory, più un centinaio di miners industriali e altri 600 appassionati, è stata formata una community per lo scambio di conoscenze e informazioni. A Calenzano, all’ombra di Firenze, stanno dunque osando, nella consapevolezza che si stanno muovendo su di un un terreno vergine e per questo molto incerto. Del resto, Stampa ammette che il problema è anche l’assenza di un chiaro quadro normativo. A parte la legge sul riciclaggio e poche altre norme. Sebbene ciò non li abbia scoraggiati, sicuramente li farebbe stare meglio. La community serve proprio a questo: a crescere insieme».
A guardia del capannone ci sono monitor che lo sorvegliano H24. In fondo, stiamo pur sempre parlando di 400 macchine vendute ai clienti della Factory e i monitor sorvegliano quanto realizzato con l’estrazione delle criptovalute. Nel cortile esterno troviamo invece il prototipo della mining farm mobile, praticamente un impianto trasportabile che l’azienda vuole lanciare sul mercato europeo. L’obiettivo è realizzare quanto fatto dalla Olivetti in quel di Ivrea. Loro ci tengono però a sottolineare che non sono andati in Serbia, dove l’energia costa molto meno. Perchè vogliono realizzare qualcosa in Italia, sebbene il futuro resti molto incerto.
Chissà se sanno che nel 2018 la bolletta della luce è pure aumentata, con un bel +5,3%. Del resto si sa, in Italia da decenni la libera iniziativa è stroncata da tasse e burocrazia…