L’allarme di Fioroni: «Il Pd così rischia il collasso»

Beppe Fioroni lancia l’allarme al Pd. E traccia un parallelismo con quanto accadde alla Democrazia Cristiana negli anni Novanta. E sollecita un progetto. Che vada al di là delle parole

Beppe Fioroni è un pezzo della storia dell’Ulivo. Viene dal mondo dei Popolari. E con Dario Franceschini ha fondato ‘Quarta Fase’ l’area che raccoglie i Popolari all’interno del Partito Democratico. È stato ministro nel secondo governo Prodi. Soprattutto è uno dei 45 membri del Comitato nazionale per il Pd.

di Beppe FIORONI
Deputato
Partito Democratico

È vano pensare che il 4 marzo costituisca una parentesi nella vicenda politica italiana. Può darsi che i due vincitori, Di Maio e Salvini, non riescano a guidare il Paese verso un nuovo assetto bipolare, incentrato sui loro due partiti. Molto dipende dalla capacità di ripresa del mondo riformista e popolare, e quindi innanzitutto del Pd, sul quale si è abbattuta la tempesta elettorale.

Se prevale il convincimento che l’ondata populista e radicale rifluisca in un meccanico recupero della precedente dialettica destra-sinistra, allora il pericolo alimentato da questa illusione finirà per generare ulteriori problemi. Bisogna ricostruire una prospettiva, fatta di programmi e alleanze, in grado di invertire il sentimento collettivo di rabbia, delusione e insicurezza.

Il modesto risultato del Pd, sceso sotto la soglia psicologica del 20 per cento, rischia di essere un dato provvisorio. Non è detto che costituisca il punto di stabilizzazione e ripartenza, come se fosse appunto un semplice segnale di difficoltà transitoria.

La Dc inciampò nel 1992, prendendo grosso modo il 30 per cento, in flessione rispetto a tutte le precedenti tornate elettorali (a partire dal 1946). L’impatto fu tremendo e, complice la vicenda di Mani pulite, produsse l’esplosione del partito.

Il riferimento alla Dc, ovvero alla sua improvvisa sconfitta e ancor più improvvisa disarticolazione, fino al tracollo nel giro di un anno e mezzo, deve mettere sull’avviso il vertice del Nazareno. Quello che avvenne nel passaggio del ’92-94 attesta una verità semplice e dolorosa: quando un partito perde la sua anima, mostrando indeterminazione e confusione sulle scelte da compiere, imbocca la strada della sua dissoluzione. Oggi è questa l’insidia che morde ai fianchi del gruppo dirigente del Pd.

Rifugiarsi nel discorso del “ritorno alle origini” sembra il modo migliore per uscire dalla stretta. Ma se questa evocazione nasconde l’insipienza di un progetto, privo di un drizzone politico-strategico, nulla può aggiungere di fertile e positivo.

Anzi, poiché l’immobilismo prelude alla perdita di credibilità, viene facile dedurre che il sipario possa chiudersi, anche bruscamente per volere della pubblica opinione, sulla esperienza del “partito unico dei riformisti” generosamente avviata poco più di dieci anni fa.

Il Pd rischia il collasso.