Uno strano articolo dell’ex amministratore della PAS, Umberto Saccone (quando ancora in carica), suona come un cattivo presagio per i lavoratori nei pressi di Molo Vespucci (controllare sì, spiare no)
CIVITAVECCHIA – In questi giorni, su un sito specializzato sull’informazione della sicurezza, è apparso un articolo a firma di Umberto Saccone quando ancora ricopriva l’incarico di Amministratore Unico della Port Authority Security e Presidente di IFI Advisory.
L’articolo è titolato: Saccone: Indagini difensive sul luogo di lavoro. Di che cosa parla, in sintesi, Saccone in questo articolo?
Parla del “controllo a distanza” dei lavoratori e di “violazioni della riservatezza e della privacy” dell’azienda. Un articolo molto interessante e ben argomentato che però suona come un cattivo presagio per qualcuno che lavoro sia alla PAS che a Molo Vespucci. Sì, perché ultimamente il presidente Francesco Maria Di Majo ha mosso molte accuse ad alcuni dipendenti di violare la privacy e, in una lettera, diffidava chiunque anche ad avere rapporti con l’esterno, in particolare, ad esempio, con il nostro blog.
Anche la presenza di strani personaggi (strani per modo di dire se non per la loro professione) visti aggirarsi per gli uffici di Molo Vespucci hanno aumentato lo stato di disagio dei lavoratori, quasi che si sentano spiati anche quando vanno in bagno.
Una denuncia, proprio qualche giorno prima di questa pubblicazione, fu presentata all’autorità giudiziaria da Massimiliano Grasso che, fu avvisato, di aver subito dei tentativi illegali di accesso e quindi di violazione della sua mail privata.
L’art. 4 dello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970), come novellato dall’art. 23 del D.Lgs. 151/2015, sospinge decisamente il tema del potere di controllo del datore di lavoro in un’area di con-dominio tra diritto del lavoro e normativa in materia di protezione dei dati personali.
La questione del corretto esercizio e dei limiti del potere di controllo datoriale, almeno quando si tratta di controllo a distanza, è complessa e tutt’altro che agevole da dipanare in molti casi e circostanze concrete, richiedendo una buona capacità di analisi e di valutazione, oltre che particolare prudenza nella scelta delle modalità di controllo.
La tematica è abbondantemente trattata sia in dottrina che in giurisprudenza, prima e dopo la riforma del 2015, ciò derivando dalla particolare importanza del bene protetto dall’ordinamento, che per l’appunto è la dignità (e la libertà) dei lavoratori. Non casualmente – riteniamo – si parla di controllo a distanza delle attività dei lavoratori, non già dei lavoratori stessi: la dignità delle persone dei lavoratori costituisce l’argine, il confine non valicabile da parte del potere di controllo datoriale. D’altronde anche il datore di lavoro ha dei diritti, tra cui quello di tutelare il patrimonio aziendale: l’esigenza connessa è per l’appunto inserita, nel novellato art. 4 dello Statuto dei lavoratori, tra le finalità che giustificano il controllo a distanza.
Sentenza Suprema Corte contro installazione telecamere in ufficio senza autorizzazione: A tal proposito, secondo quanto contenuto in una delle più recenti sentenze emesse dalla Suprema Corte, sentenza n. 4331 del 30 gennaio 2014, in cui i Giudici sono stati chiamati ad esprimersi circa l’installazione di telecamere puntate sui dipendenti durante la loro prestazione lavorativa, effettuata su ordine del datore di lavoro senza attendere l’autorizzazione della Direzione Provinciale del Lavoro né l’accordo con i sindacati.
I Giudici, oltre a rilevare la violazione hanno evidenziato che il fatto che le telecamere siano attive o no, privacy e riservatezza del lavoratore devono comunque essere tutelate ai sensi dell’articolo 4, comma 2 della Legge n. 300/1970 e anche qualora vi sia il rischio di attività criminose o di pericolo degli stessi lavoratori, l’installazione degli apparecchi di ripresa audiovisiva deve essere prima autorizzata.
La sanzione per dette violazioni in materia di videosorveglianza sul posto di lavoro non autorizzata, secondo quanto disposto dal combinato dell’articolo 171 del D.L.vo 196/2003 con l’articolo 38 legge 300/70, sono sanzionabili con una multa che varia da 154,00 euro a 1.549 euro o con l’arresto da 15 giorni ad un anno.
Si tratta per Saccone di un articolo ispirato da un’iniziativa posta in essere sui luoghi di lavoro da lui frequentati o semplicemente di un articolo di routine professionale?
Difficile immaginarlo ma, attenti lavoratori, nessuno di voi è più al sicuro.