Intervista all’ex presidente della Cassa di Risparmio di Civitavecchia e socio dell’ente che ha subito una truffa che passerà alla storia tra le Fondazioni più sprovvedute e mal gestite in Italia
CIVITAVECCHIA – Gli interrogatori di Nicola Larini e del suo assistente hanno gettato gravi ombre e fatto emergere responsabilità nel management della Fondazione Cariciv che, se è vero che è stata truffata per oltre 19 milioni di euro (che non saranno mai più recuperati) è altrettanto vero che qualcuno c’ha guadagnato grazie a provvigioni corpose ed illecite che sanno tanto di tangenti.Ne Parliamo con l’avvocato Ezio Calderai, ex presidente della Cassa di Risparmio di Civitavecchia ed ex socio della fondazione.
Avvocato sulle vicende della Fondazione Cariciv, tanto deprimenti quanto ignorate da questa città addormentata, anche la sua voce è sparita. Si è addormentato anche lei?
Veramente dormo poco, in tutti i sensi. La domanda giusta è un’altra: c’è ancora da dire qualcosa sulla Fondazione? Sinceramente penso di no. E’ stato detto e scritto di tutto ed io, personalmente, ne vado parlando dal 2008, prima disciplinatamente in seno all’Assemblea dei soci, fin quando ne ho fatto parte, poi in occasioni pubbliche e non dimentichi che ho proposto ben cinque interpelli alla Autorità di Vigilanza presso il Ministero E&F sulle fondazioni di origine bancaria. Mi pare, allora, che nessuno possa rimproverarmi di aver taciuto. Vox clamantis in deserto, questo sì, per usare una citazione colta, non proprio precisa, ma corrente.
Sì, ma le rivelazioni degli ultimi giorni sono inquietanti, è stato scoperto un verminaio.
Lei si riferisce ai verbali degli interrogatori del truffatore Larini, che la Magistratura di Lugano avrebbe inviato alla Fondazione, ma né io né lei li abbiamo visti. Comunque, almeno per me, fatti largamente prevedibili non possono definirsi notizie. Vede, la decisione dello sciagurato investimento è stata presa dal Consiglio di Amministrazione dopo di parere di una Commissione appositamente costituita e di cui facevano parte dotti esperti, sotto la vigilanza di un Direttore Generale; ed allora le ipotesi sono due: o tutti sono stati presi per il naso, non diversamente dall’anziana casalinga alla cui porta bussa uno spregiudicato promotore finanziario che riesce a venderle il fumo, o c’era un preciso concerto per conseguire vantaggi, cui tutti hanno concorso, alcuni come agenti e ideatori, altri per aver abbassato la guardia nei controlli. Non saprei dire se siano più responsabili gli uni o gli altri.
Quel che stupisce è che la Fondazione, almeno per quanto se ne sa, non abbia ancora sporto denuncia alla Procura della Repubblica, come avrebbe dovuto fare, a mio avviso, il giorno immediatamente successivo a quello in cui aveva appreso che i soldi si erano volatilizzati. Voglio ricordare che l’Ente è la vittima della truffa. In un solo colpo ne sono stati lesi tradizioni plurisecolari e patrimonio.
Una truffa annunciata, quindi.
Non arrivo a tanto, dico solo che già molti anni prima della truffa erano venuti meno gli anticorpi, i rimedi cioè posti a presidio del corretto funzionamento di ogni organismo democratico, a cominciare dall’equilibrio e dalla dialettica tra i poteri interni, con la separazione delle funzioni d’indirizzo da quelle di amministrazione e di controllo.
Sono anni che nessuno fa il proprio dovere: l’Organo d’Indirizzo impartirà pure direttive, ma non si cura di verificare se vengono attuate o meno; il Consiglio di Amministrazione è mera finzione, i civitavecchiesi ne ignorano persino l’esistenza, convinti che ci sia soltanto il presidente, che vede e provvede, che fa e disfa, che premia e punisce; il Collegio dei revisori dei conti è capace tutt’al più di mettere a posto le carte per mascherare una gestione dissennata; l’Assemblea dei soci, vera depositaria dei valori quasi bicentenari della Cassa di Risparmio, e responsabile dell’integrità del patrimonio, ha espresso pareri sempre favorevoli sulla gestione con maggioranze più che bulgare.
Ecco perché sono convinto – e non ne ho fatto mai mistero – che la truffa ha costituito un acceleratore di una sorte dell’Ente largamente annunciata ed attuata in questi anni mediante violazioni di legge e di statuto: acquisto di immobili non utilizzabili per compiti di istituto per di più pagati a prezzi esorbitanti, acquisto di una società che aveva in pancia una televisione locale, operazione che grida vendetta e sulla quale molte cose dovrebbero essere spiegate, soldi dell’Ente distribuiti a pioggia come argent de poche, un personale più che doppio rispetto ad altre fondazioni con capitale comparabile, indennità profuse a piene mani e con nessun rapporto con le dimensioni dell’Ente agli organi statutari, pratiche clientelari e nepotiste indecenti, costi fuori controllo per l’acquisto e la gestione di una sede universitaria, iniziativa apprezzabile nelle intenzioni, ma neppure tanto per il fatto che le sedi periferiche ormai hanno fatto il loro tempo, addirittura l’organizzazione e la gestione di una scuola materna, come non fa nessuna fondazione in Italia e forse nel mondo.
Non ci fosse stata la truffa, quindi, con quella tendenza l’Ente sarebbe durato qualche anno in più, ma egualmente avrebbe finito per spegnersi, con la prospettiva, nella migliore delle ipotesi, di essere incorporato in un’altra fondazione di origine bancaria.
Come spiega, allora, il silenzio assordante della stampa, delle istituzioni e dell’Autorità di Vigilanza?
Per la verità giornali a tiratura nazionale si sono occupate con accenti critici delle vicende della Fondazione. A livello locale altrettanto hanno fatto giornali telematici, ma evidentemente sono poco seguiti. Una delle poche voci autorevoli, purtroppo alla canna del gas, deve la propria sopravvivenza alla Fondazione e, da allora, la voce si … è spenta. La pagina locale di un giornale importante come Il Messaggero spesso interviene, ma sempre in punta di piedi, senza prendere di petto le criticità che affliggono l’Ente. Il Comune? Meglio stendere un velo di pietoso silenzio: per qualche contributo in più non vede, non sente e non parla.
Il silenzio e l’inerzia del MEF è incomparabilmente più grave. L’Autorità di Vigilanza, in caso di violazione di legge e dello statuto – nel nostro caso c’è solo l’imbarazzo della scelta – ha l’obbligo, si badi non la facoltà, d’intervenire, disponendo nei casi più gravi il commissariamento dell’ente e le conseguenti azioni di responsabilità. Non l’ha fatto, eppure i funzionari del Ministero leggono i bilanci dell’ente, vedono che, truffa a parte, il patrimonio dell’ente in tre anni ha subito un’erosione di più di 14.000.000 di euro, capiscono se la legge e lo statuto siano stati violati, l’ultima volta con la nomina di un presidente viziata per incompatibilità. Vorrei sbagliare, ma credo che l’inerzia del MEF, dopo il mio primo interpello del 2015, sia costata alle casse dell’ente non meno di centomila euro al mese. Neppure il Ministero, però, è legibus solutus.
Si parla di una grave malattia che ha colpito il presidente Cacciaglia. Cosa succederà ora?
Sinceramente la malattia di Vincenzo Cacciaglia mi addolora e mi auguro che riuscirà a sconfiggerla. Le sorti di ciascuno di noi, però, sono effimere per definizione, mentre non lo sono quelle delle istituzioni: le abbiamo ricevute dai nostri antenati ed abbiamo il dovere di consegnarle integre ai nostri figli. La Fondazione, erede della gloriosa Cassa di Risparmio di Civitavecchia, ha alle spalle 171 anni di vita. Mi chiede quale sarà la sua sorte? Intanto prescinderei dalle persone, ma detto questo non saprei darle una risposta. Di voci ne girano tante, fusione o incorporazione in altre fondazioni, liquidazione. Io non me lo auguro perché significherebbe cancellare una grande storia.