Il precedente Governo ha lasciato le cose a metà: l’ex Ministro allo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, poco prima di andarsene aveva rilasciato il ‘nulla osta’ alla pubblicazione della lista delle località idonee ad ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Tuttavia la legge prevede – per procedere alla divulgazione della CNAPI – anche il nulla osta del Ministero dell’Ambiente, mai arrivato. Il nuovo Ministro, Sergio Costa, firmerà l’autorizzazione?
A fine marzo scorso la questione della scelta dei siti idonei a ospitare il futuro deposito nazionale delle scorie nucleari sembrava sul punto di essere risolta, con la imminente pubblicazione delle aree del territorio italiano valutate compatibili per la sua installazione. E invece, nonostante le notizie circolate, la lista (CNAPI – Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee) non è mai uscito. E la patata bollente è passata al governo in carica oggi. Mauro Magnoni, fisico ed esperto di radioprotezione ambientale, ci spiega che non c’è più tempo da perdere.
Perché la questione dei rifiuti radioattivi in Italia è urgente?
«Perché nel nostro Paese non si è ancora assolto alla normativa europea e internazionale che prevede la creazione di un deposito nazionale dove contenere i rifiuti radioattivi, oggi disseminati in depositi diversi e nei siti delle ex centrali. La principale esigenza è quella di stoccare in un unico deposito tutti i residui più o meno radioattivi che derivano dallo smantellamento delle installazioni nucleari, in primis le quattro centrali italiane, più altri due centri legati al ciclo del combustibile nucleare. Tutti questi impianti, con l’uscita dell’Italia dal nucleare, sono stati chiusi e avviati alla fase di smantellamento, che può essere completato solo se si ha un posto dove depositare i rifiuti in sicurezza. Ci sono poi anche rifiuti radioattivi prodotti da attività di tipo ospedaliere e in misura minore industriale, che formano un piccolo ma costante flusso, attualmente stoccato in maniera più o meno idonea, più o meno precaria, dove i rifiuti vengono prodotti: ovvero nei vari ospedali o nei depositi delle aziende che li trattano. Sono depositi definiti temporanei, che però ormai sono tutt’altro che tali, visto che sono lì da decenni».
Che fine ha fatto la carta dei siti e che cosa contiene?
«Benché pronta almeno dal 2015, in una sua prima versione, finora è rimasta chiusa nel cassetto del ministero, anzi dei ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, Non contiene indicazioni precise, è solo una prima scrematura, cioè l’elenco delle aree del nostro Paese ritenute compatibili con il deposito in base a una serie di caratteristiche: assenza di rischio sismico, distanza da grandi centri abitati, distanza dal mare e faglie e via dicendo. Dovrebbero poi essere le Regioni a esprimere interesse per la realizzazione del deposito, che prevede anche investimenti per un parco tecnologico, con attività di ricerca e sicure ricadute sull’occupazione».
C’è un problema di rifiuti nucleari provenienti dall’estero?
«Sì, ma non facciamo confusione: è tutta roba nostra. Ed è il motivo principale che dovrebbe spingerci ad affrettare la costruzione del deposito nazionale. Una parte importante delle scorie provenienti dalle centrali nucleari italiane, il combustibile cosiddetto Irraggiato, molto radioattivo, non può essere gestito così com’è, ma deve essere trattato. È quindi stato mandato in centri appositi, specializzati in questi trattamenti, in Gran Bretagna e in Francia. Questi centri dopo il trattamento ci rimanderanno indietro il materiale. La tabella di marcia prevede che i rifiuti trattati tornino in Italia all’inizio del prossimo decennio e dovrebbero essere stoccati nel deposito nazionale. Se non ci sarà, dovremo pagare profumatamente le società di trattamento all’estero per lasciare loro in temporaneo deposito i nostri rifiuti, infrangendo comunque le disposizioni internazionali e non facendoci un gran bella figura».
Intervista di Natalia Milazzo per “Altroconsumo”