CIVITAVECCHIA – Riceviamo e pubblichiamo: Faceva freddo. Caspita se faceva freddo. Arrivare a Molo Vespucci , a gennaio, dopo le 8 di sera era come imbarcare su un rimorchiatore. Il Consiglio comunale cominciava a quell’ora. Dopo le undici tutti a “fare il pezzo” nel prestigioso ufficio stampa del Consorzio del Porto che Lui dirigeva.
Su una macchina da scrivere elettrica. Un demonio difficile da domare per chi era abituato alla Lettera 35. Poi si dettava la corrispondenza ai “dimafoni”. Ed era allora che, magicamente, spuntava un tè o un caffé caldo. E iniziava il “bello”.
Pino era stato in redazione prima di me, e conosceva tutti noi giovani cronisti. Io ero al Tempo per 5500 lire al mese di rimborsi. Arrotondavo portando gli abbonamenti per le case.
Il “bello” erano i suoi racconti. Indimenticabile quello delle “Sirene di Ladispoli”.
Lo svegliò la redazione di Roma in piena notte: “Grasso, ma come…. Avvistano una sirena a Ladispoli e ancora non sai niente”.
“Ma vah!”
“C’è un’ Ansa… c’è un’ Ansa, hai capito? Aspetta che te la leggo. Titolo: Avvistata una Sirena a Largo di Ladispoli” Testo: Due pescatori locali…”.
Raccontava che aveva riso. Che aveva interrotto il trafelato Capo Servizio prima che gli leggesse i due nomi, indovinandoglieli tutti e due.
Conosceva tutti. Compreso i due bontemponi che si erano presi gioco di tutta la grande stampa nazionale. Fino a quel momento.
Oggi sarebbe una perfetta “Fake new”. Ma a quell’epoca il giornalismo aveva dei bravi maestri. I miei? Aldo, Danilo, Giovanni Maria e Pino Grasso.
Lui mi insegnò a non credere alle Sirene. E vi assicuro, giornalisti o no, non è poco. Specie di questi tempi.
Ciao Pino, riposa in pace.