La scuola “che cambia” è proprio la secondaria: si entra “bambini” e si esce”ragazzi”, pronti a scegliere da soli la strada da intraprendere
“L’esperienza si fa sul campo”. Questo è quanto raccontano i saggi e, oggi, anche i politici. Ma io penso che i risultati dell’esperienza si concretizzino solo se ci sono “a monte” buone basi di conoscenza e di esercizio del senso critico, a cominciare dalla Scuola.
Dedico queste mie riflessioni innanzitutto all’Istituto Ettore Sacconi di Tarquinia, la “mia” Scuola, un “plesso” veramente importante che coinvolge 1360 studenti, 180 professori e… mille altri problemi: mensa, ferie, supplenze, genitori, esami, attrezzature e chissà quante altre cose.
Nutro un sentimento di grande ammirazione per il dirigente scolastico che ogni giorno deve affrontare tutto ciò! E quando ti aspetteresti che, a fine partita, il “primo giocatore” non possa essere che esausto, l’incontro in Aula Magna con la Preside, prof.ssa Dilva Boem, ha sorpreso tutti, con l’entusiasmo del primo giorno di scuola, presentando, a noi delle terze, i tre anni conclusi con la stessa passione con cui si annuncia l’inizio di un percorso didattico da cominciare. Questo mi ha fatto “accendere la lampadina”, ed eccomi qua a scrivere qualcosa sulla scuola e sul futuro di noi studenti.
Perché attraverso un articolo di giornale? Perché è proprio il giornalismo che ci ha fatto capire che la scuola può essere come una famiglia, o una squadra sportiva, dove tutti collaborano per “portare a casa” un risultato. Nel nostro caso un progetto che ha coinvolto tutta la scuola, il Corriere degli Studenti: una sorta di “comune filo conduttore” che ha coinvolto tutte le classi dell’Istituto, dalla prima all’ultima, con confronti, condivisioni e lavori di gruppo, per far uscire, ogni 15 del mese, l’edizione del Giornale.
“Bravi tutti… alunni, giornalisti e professori!”. Sentire parlare la prof.ssa Giuseppina Ceccarini, coordinatrice del Giornale, con le lacrime agli occhi, ci ha toccato tutti; è a lei che va il ringraziamento speciale, di noi ragazzi. Dai professori solitamente ci aspettiamo insegnamenti legati al programma scolastico e una “placida” severità. Qui però c’è qualcosa di più: come direbbe Churchill, “insegnare con amore e rigore”. Questo è stata la Prof.ssa Ceccarini: amore e rigore. “Grazie Prof.! Grazie di cuore!”
A questo punto, tuttavia, una lancia va spezzata a favore di tutta la categoria degli insegnanti: l’Italia non è certo un paese facile per questo antico, fondamentale, “mestiere”!
Tra le tante interviste che ho fatto per il Corriere degli Studenti, mi è rimasto impresso il commento del Prof. Harold Carter, dell’Università di Oxford, proprio sul valore della professione insegnante, in Inghilterra. Lì, infatti, i docenti sono una categoria privilegiata, non pagano tasse, hanno stipendi dignitosi, nel tessuto sociale hanno il rispetto dovuto. “Ma questo è normale”, dice il prof. Carter, “noi cresciamo e formiamo il futuro del paese, dobbiamo farlo con serenità, con professionalità, ma soprattutto con rispetto, il nostro e quello di tutti”.
Suona strano raffrontare un discorso del genere alla scuola Italiana di oggi, eppure negli anni ‘60 era così anche da noi. Non dimentichiamo che è grazie al maestro Alberto Manzi, per esempio, che molti dei nostri nonni hanno conseguito, attraverso la trasmissione TV “Non è mai troppo tardi”, la licenza elementare. E allora, perché non dare il giusto valore agli insegnanti? Mi viene quasi da lanciare una sfida che ricalca il nome della nota trasmissione del succitato maestro: Non è mai troppo tardi!
Giorgia Pusceddu, 14 anni, direttore del Corriere degli Studenti dell’Istituto Ettore Sacconi di Tarquinia