La donna, assieme al marito, utilizzava esponenti del clan Di Silvio per riscuotere crediti e per la campagna elettorale. Deve rispondere, assieme ad altre 4 persone anche di violenza privata e illecita concorrenza. Famosa la battaglia per lei di Francesco Battistoni che la voleva al posto di Angela Birindelli, assessore alla Regione Lazio
LATINA – C’è anche l’ex consigliera regionale Gina Cetrone (Lista Polverini) fra gli arrestati dalla Squadra Mobile di Latina che ha dato esecuzione all’Ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in data 28 Gennaio 2020 dal gip del Tribunale di Roma, su richiesta della Direzione Distrettuale Anti mafia di Roma nei confronti Armando Di Silvio, detto Lallà, 54 anni, Gianluca Di Silvio, 24 anni, Samuele Di Silvio, 30 anni, Umberto Pagliaroli, classe 1970 e appunto Gina Cetrone, 49 anni, moglie di Pagliaroli (nella foto di un vecchio articolo di Tusciaweb in compagnia dell’allora consigliere regionale Francesco Battistoni oggi senatore di Forza Italia). I quattro sono indagati a vario titolo per estorsione, atti di illecita concorrenza e violenza privata, reati aggravati dal metodo mafioso.
Le indagini costituiscono l’esito di un ulteriore approfondimento investigativo che la Squadra Mobile sta conducendo, sotto la direzione ed il coordinamento della Direzione distrettuale Antimafia di Roma, circa le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Renato Pugliese e Agostino Riccardo.
«In particolare – spiegano dalla Questura – veniva ricostruito che nell’Aprile del 2016, la Cetrone e Pagliaroli, quali creditori nei confronti di un imprenditore di origini abruzzesi, in relazione a pregresse forniture di vetro effettuate dalla società Vetritalia srl, società a loro riconducibile, richiedevano l’intervento di Samuele e Gianluca Di Silvio e Agostino Riccardo per la riscossione del credito in questione, previa autorizzazione di Armando Di Silvio detto “Lallà”, capo dell’associazione di stampo mafioso a lui riconducibile».
Controllo delle campagne elettorali su Latina e Terracina e non soltanto per l’affissione dei manifesti e l’acquisto dei voti ma anche per la capacità intimidatoria che ha travalicato i confini della provincia pontina per arrivare a Roma costringendo un esponente politico nazionale a fare in modo che Pasquale Maietta potesse fare il suo ingresso in Parlamento. Lo ha raccontato nel dettaglio il 7 gennaio scorso in un’aula del Tribunale di Latina il collaboratore di giustizia Agostino Riccardo nel corso dell’udienza del processo Alba Pontina davanti al collegio presieduto da Gianluca Soana che vede alla sbarra il clan di capeggiato da Armando Lallà Di Silvio, ai cui componenti viene contestata l’associazione a delinquere con l’aggravante del metodo mafioso.
I nomi dei politici
Secondo il pentito i clan dei Travali prima e dei Di Silvio poi hanno garantito carriere politiche di ogni ordine e grado per numerosi candidati facendone un vero e proprio business. Il collaboratore di giustizia, passato con il clan di Campo Boario dopo gli arresti di Don’t Touch con un percorso analogo a quello di Renato Pugliese, per quasi quattro ore ha svelato i retroscena di alcune campagne elettorali e tirato fuori i nomi di esponenti politici che fino ad oggi erano coperti da omissis, custoditi nei verbali dei suoi interrogatori con i magistrati della Procura della Repubblica di Latina e della Direzione distrettuale antimafia di Roma. Collegato in videoconferenza con l’aula della Corte di Assise, ha risposto alle domande dei pubblici ministeri Luigia Spinelli e Claudio De Lazzaro ha raccontato episodi rimasti finora nell’ombra. «Dopo venti anni di crimini, abusi, prepotenze sui cittadini di Latina commessi da me e dal clan Di Silvio – ha esordito – sono stanco e voglio parlare. Con i Di Silvio avevamo preso l’80% della politica grazie ai miei contatti quando ero nel clan dei Travali: sono stato io a proporre l’affare della politica. Tutti hanno pagato fior di soldi per garantirsi visibilità e comprare voti ed erano perfettamente al corrente dei metodi che utilizzavamo».
Quattordici anni di episodi
Il suo racconto ripercorre gli ultimi quattordici anni di vita politica, chiamando in causa nomi eccellenti. I protagonisti di questo racconto sono Matteo Adinolfi, oggi europarlamentare della Lega, Gina Cetrone, ex candidata alle comunali di Terracina e prima ancora alla Regione, Nicola Calandrini, senatore di Fratelli d’Italia, Armando Cusani, sindaco di Sperlonga e Pasquale Maietta, ex deputato, ex assessore e consigliere comunale nel capoluogo pontino.
Le Regionali
E’ un fiume in piena Riccardo. Racconta delle regionali del 2013 quando proprio Maietta decise di «convogliare i circa 500 voti della curva dei tifosi del Latina Calcio di cui era presidente su Nicola Calandrini, di Fratelli d’Italia invece che sulla Cetrone». Poi ricostruisce i suoi rapporti con l’imprenditore del settore rifiuti Raffaele Del Prete – arrestato nell’ambito dell’operazione Touchdown – che si occupava di finanziare le campagne elettorali di Matteo Adinolfi e Gina Cetrone: era lui a tenere i rapporti con il gruppo composto dallo stesso Riccardo e dai figli di Lallà Di Silvio, Gianluca, Samuele e Pupetto. Secondo il pentito alle amministrative del 2016 il clan, a Terracina punta tutto sulla lista lista “Sì Cambia” guidata da Gina Cetrone.
Del Prete paga alcune decine di migliaia di euro la campagna per Adinolfi mentre la Cetrone per “difendere” i suoi manifesti versa prima 7mila euro in cambiali e poi altri 15mila in contanti. Sono Riccardo e Armando Di Silvio a trattare con lei presso la sede della sua azienda. Il denaro veniva poi diviso equamente nel corso delle riunioni giornaliere al tavolo centrale nel salone a casa di Armando Di Silvio.
Cusani scortato al comizio
Nel racconto spunta anche un altro nome finora mai emerso in questo processo. «La Cetrone ad un certo punto – ricorda il collaboratore – ci chiese di scortare un politico importante. Posso fare il nome?», chiede al pm Spinelli che lo sta interrogando. E quando il magistrato dice di sì si scopre che si tratta di Armando Cusani, ex presidente della Provincia e attuale sindaco di Sperlonga. Al gruppo formato da lui e dai figli di Lallà nella campagna elettorale del 2016 venne chiesto «di andare a prendere un importante personaggio politico che doveva partecipare ad un suo comizio a Terracina. Dovevamo garantire una sorta di scorta a Cusani e così lo abbiamo scortato, io e i figli di Armando, a Terracina».
«Aveva fame»
«Lallà era appena uscito dal carcere – ha spiegato il pentito – e aveva “fame”: voleva tutto, droga, estorsioni e politica. Non voleva lasciare nulla agli altri per ingrandirsi e sapeva che io avevo i contatti con il mondo politico fin dal 2006 così gestivamo tutto da Campo Boario. Abbiamo lasciato soltanto Angelo Tripodi a Morelli che apparteneva al gruppo dei Travali ma per il resto era tutto nostro: nessuno copriva i nostri manifesti».
Una ricostruzione inquietante che lascia con il fiato sospeso. Non si sa infatti se in questi mesi la Direzione distrettuale Antimafia di Roma abbia raccolto i riscontri necessari a far confluire queste accuse in una nuova inchiesta sul clan Di Silvio, incentrata sui rapporti tra il clan e la politica, scrivevano l’otto gennaio scorso. Con l’operazione di questa mattina che ha portato all’arresto di Gina Cetrone, del marito Umberto Pagliaroli, Armando Lallà Di Silvio e i figli Samuele e Gianluca, è arrivata una prima – esplosiva – risposta.
Gina Cetrone è stata anche protagonista della famosa diatriba tra Francesco Battistoni e l’allora assessore regionale all’Agricoltura Angela Birindelli.