Caso Vannini – Le amnesie di Celestino Gnazi, il tesserino della “guardia” Antonio… Adesso però è ora di trovare il movente (Documenti esclusivi di Etruria News)

L’indagato Ciontoli, assistito dall’avvocato di fiducia Celestino Gnazi, è stato ascoltato una prima volta dai Carabinieri di Cerveteri il 12 gennaio del 2000. La seconda volta dal magistrato, in Procura a Civitavecchia, il 10 marzo dello stesso anno ma nessuno dei due se lo è ricordato… perché?

CIVITAVECCHIA – Grazie alla Procura della Repubblica di Viterbo, per la prima volta, entriamo in possesso dell’interno fascicolo 126/2000 a carico del signor Antonio Ciontoli. Il fatto è ormai di dominio pubblico.

L’avvocato della famiglia di Marco Vannini, Celestino Gnazi, ci ha denunciato perché abbiamo diffuso l’audio dell’ex Maresciallo della Guardia di Finanza Giovanni Bentivoglio che portava alla luce quel fascicolo famoso su Antonio Ciontoli, il 126/2000 dove all’interno c’era la denuncia di una prostituta rapinata. Adesso, grazie proprio a questa denuncia, siamo potuti entrare in possesso ufficialmente di quel fascicolo (di cui nessuno aveva più memoria) e che inizieremo a raccontare, a piccoli passi, perché dimostra la straordinaria amnesia dell’avvocato Celestino Gnazi che non una, ma per ben due volte, ha difeso Antonio Ciontoli.

La prima volta nell’interrogatorio davanti ai carabinieri di Cerveteri il 12 gennaio 2000, successivamente, davanti al magistrato della Procura di Civitavecchia il 10 marzo 2000.

Quello che vedete nella foto in esclusiva per Etruria News, è il famoso tesserino mostrato alle due prostitute.

Antonio Ciontoli fu denunciato, come già sapete grazie a noi, da due prostitute nigeriane perché aveva, secondo loro, consumato un rapporto sessuale senza pagare il prezzo pattuito. Non solo non avrebbe pagato la prestazione ma, sempre secondo l’accusa delle donne, avrebbe rubato dalla borsetta di una di loro 200 mila lire del vecchio conio.

Per intimorirle e farle recedere dalle accuse, avrebbe mostrato loro un tesserino di servizio spacciandosi per agente di polizia.

Infatti, il fascicolo aperto a carico di Antonio Ciontoli, lo vedeva iscritto per due reati specifici e cioè gli articoli 347 (usurpazione funzioni pubbliche) e 624 (furto) del codice penale. 

I fatti sono del 12 gennaio 2000. I carabinieri in servizio a Cerveteri vengono fermati in strada da una ragazza di colore. Questa raccontava loro l’episodio e veniva invitata, insieme all’amica, a recarsi alla locale Stazione dei Carabinieri e denunciare l’accaduto.

Mentre le prostitute erano in caserma a sporgere denuncia, la pattuglia dei carabinieri notava l’Opel Vectra del Ciontoli sotto la propria casa, con la targa che corrispondeva a quella che una delle due prostitute si era segnata su un foglietto mentre Antonio Ciontoli si allontanava dopo aver fatto sesso e rubato 200mila lire.

 A quel punto I militari suonano al campanello di Antonio Ciontoli a Ladispoli, in via Alcide De Gasperi 19.

Apre la moglie, alla quale, chiedono se in casa ci sia il marito. I Carabinieri nella loro relazione scrivono:

“Dopo aver suonato al civico 19 si vedevano aprire la porta da una signora, chiesto se era in casa il marito, subito si presentava una persona, che alla vista dei militari impallidiva e veniva identificato in CIONTOLI Antonio, notata la somiglianza  con le discrezioni date dalle due ragazze lo invitavano presso questi uffici”.

Adesso viene il bello. I carabinieri lo invitano a seguirli in caserma. Antonio Ciontoli arriva e si fa identificare con il tesserino militare della Marina.

Mentre era nell’ufficio lo fanno vedere alle due prostitute che lo riconoscono.

A quel punto decidono di interrogare Antonio Ciontoli che ha bisogno delle presenza dell’avvocato di fiducia. Chiama quindi Celestino Gnazi che lo raggiunge in caserma dove, alle 20 in punto, inizia a rispondere all’interrogatorio davanti al maresciallo Palmerino Rasile.

Celestino Gnazi appone la sua firma su tutti i fogli del verbale di interrogatorio che i carabinieri trasmetteranno successivamente alla Procura di Civitavecchia.

Passa un mese e mezzo circa, siamo esattamente al primo giorno di marzo del 2000 quando la Procura di Civitavecchia notifica ad Antonio Ciontoli, e al suo avvocato Celestino Gnazi, l’invito a presentarsi il 10 marzo 2000 alle ore 10 davanti al pubblico ministero Antonio Larosa per l’interrogatorio. 

Purtroppo Antonio Larosa, persona davvero straordinaria che si occupò anche del caso della Madonnina di Civitavecchia è morto nel gennaio del 2015 a soli 66 anni. Fosse stato vivo questa storia sarebbe subito emersa e Antonio Ciontoli non se la sarebbe cavata con solo 5 anni di condanna.

Andiamo avanti.

Arriva il 10 marzo 2000 e il signor Antonio Ciontoli, insieme all’avvocato Celestino Gnazi, si presentano alla Procura di Civitavecchia per far valere la loro tesi difensiva.

Il verbale di interrogatorio viene aperto alle ore 11,20 e la tesi ribadita; le due prostitute prima gli avrebbero promesso un doppio rapporto gratis in cambio di un passaggio di qualche chilometro, poi avrebbero chiesto soldi non pattuiti e successivamente denunciato Ciontoli per ripicca.

 

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Qualcuno sostiene che vani siano stati i tentativi, da parte della Procura, di rintracciare le due prostitute che nel frattempo erano svanite nel nulla. Il caso è archiviato dal Gip Carmine Castaldo il 4 ottobre 2000.

Chiudiamo qui la prima parte di questo nuovo capitolo che riguarda Antonio Ciontoli e, guardando le immagini di Quarto Grado dove Celestino Gnazi ammette, lasciando trasparire grande imbarazzo che, se i giudici di primo e secondo grado,  avessero saputo prima di questi episodi, il profilo dell’uomo della Marina sarebbe stato decisamente diverso.

Lui, invece, grazie alle amnesie e tante altre disattenzioni che la Suprema Corte di Cassazione ha ben sottolineato, ha ancora sul foglio matricolare encomi e cavalierati. Soprattutto quando è diventato cavaliere si parla della sua destrezza e fedeltà alla Patria e alle Istituzioni ma, durante il processo, ha fatto credere di non saper usare le armi.

Non è tutto. C’è dell’altro. Lo racconteremo tra qualche giorno. Forse, un passetto alla volta, tutti insieme, potremmo aiutare la famiglia di Marco Vannini a scoprire la verità e soprattutto il movente che ha spinto qualcuno ad armarsi di quella maledetta pistola e fare fuoco.

Ricordiamo che, nelle motivazioni dei Giudici della Suprema Corte di Cassazione, ci sono molti paletti, alcune aperture e quindi, questa volta, gli avvocati non possono e non devono sbagliare.

• la Cassazione restringe il campo di azione all’arco temporale che va dal momento dello sparo sino alla morte di Marco (non assumeranno rilevanza i fatti accaduti prima, né l’autore effettivo dello sparo, né i motivi del gesto);

• la Cassazione demolisce quasi integralmente i cardini della sentenza d’appello e fa a pezzi anche un punto di quella di primo grado (la distinzione del titolo di responsabilità fra Antonio e gli altri tre, dolo per il primo, colpa per gli altri tre);

• il procuratore generale, nel processo di appello bis, chiederà di condannare tutti e quattro gli imputati per omicidio volontario sotto il profilo del dolo eventuale;

• poiché la Cassazione ha richiesto ai giudici dell’appello bis solo di indagare il profilo soggettivo dei quattro (dolo o colpa), non escludo la possibilità che possano essere ammessi alcuni mezzi di prova integrativi (cosa che, in Appello, di norma è vietato).

 

– segue