Massimo Galli, virologo dell’ospedale Sacco di Milano. “Che solennissima corbelleria se davvero l’area rossa del Lodigiano fosse riaperta”
MILANO – MASSIMO GALLI dirige il reparto di malattie infettive che ha affrontato la prima ondata di malati colpiti dal coronavirus in Italia, quello del Sacco di Milano.
Professore, perché bisogna restare in casa?
«Soprattutto agli anziani dico che è meglio avere meno contatti con altre persone. Chi ha una certa età, se prende la malattia rischia. Va bene essere fatalisti ma perché andarsene prima del previsto per uno stupido virus?».
Ha visto che le persone, anche nelle zone arancioni come Milano, continuano a uscire in massa?
«Sì, ho letto anche le dichiarazioni di qualche ragazzotto che protesta perché le autorità vogliono tenerlo a casa. Gli adolescenti si considerano immortali, ci siamo passati tutti. Ma così rischiano di avere la responsabilità di portare a nonni e genitori un cliente assai più dannoso che per loro. A costo di essere detestato, dico che i locali e i punti di aggregazione vanno chiusi pure nelle regioni non ancora intensamente coinvolte dal problema».
Ci sono già migliaia di persone a casa, positive al virus oppure in quarantena. Come sono gestite ?
«Non lo so. Dobbiamo fare in modo che chi viene mandato a domicilio abbia un contatto costante e sicuro con la medicina territoriale. Andrebbero avviati veramente progetti di telemedicina. Sfruttiamo al massimo le tecnologie disponibili per seguire a domicilio le persone. In questo momento fatichiamo tanto a ricoverare, dobbiamo lasciare a casa chi non ha bisogno dell’ospedale».
Cosa si aspetta nei prossimi giorni?
«Intanto è verosimile che in tempi brevi non saranno più sufficienti le misure prese per la quarantena. Molte persone non hanno una casa adatta all’isolamento. È ora di requisire qualche albergo. Dobbiamo tentare di contenere un’ulteriore espansione del virus. Molti buoi sono già scappati ma per ricondurne almeno un po’ nelle stalle bisogna interrompere la catena di contagi».
Cosa pensa dei blocchi di Lombardia e delle 14 province?
«Vorrei capire se questo nuovo atto apre davvero l’area rossa lombarda, quella del Lodigiano, uniformandola al resto della Regione in fatto di restrizioni. Sarebbe una solennissima corbelleria. A Codogno c’è stato il primo caso 16 giorni fa e non mi risulta che si possa dire che lì sia stata completata la fase di identificazione e isolamento di tutti i contatti».
L’altra sera molti se ne sono andati dal Nord appena hanno saputo della probabile chiusura.
«Prima di rendere noto il decreto bisognava definire come doveva essere gestito l’eventuale allontanamento delle persone dalla nuova quarantena. È stato un errore di comunicazione. Ci si poteva aspettare questa situazione. Nel Medioevo, quando scoppiava la peste, si diceva: “Scappa presto e lontano, torna tardi”. E così le epidemie si spostavano da una parte all’altra».
Quando queste persone arrivano in altre regioni dovranno mettersi in isolamento, però.
«Se sono scappate, non è detto che lo vogliano fare».
L’epidemia crescerà ancora?
«Quelli che abbiamo visto fino ad ora, sono soprattutto casi di persone contagiate prima del 21 febbraio, quando sono state fatte le prime diagnosi. Per capire come si metteranno le cose ci vorrà del tempo. Ma non ci dobbiamo meravigliare se ci sarà un ulteriore incremento significativo nei prossimi giorni. E noi speriamo di reggere».