GENOVA – E’ molto preciso e immediato Matteo Bassetti, per nove anni direttore della clinica di malattie infettive dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine, e ora da pochi mesi nuovo direttore dell’Unità operativa della clinica malattie infettive al Policlinico San Martino di Genova.
Ospite di Serena Bertone ad Agorà di Rai3, lo specialista dà alcune informazioni molto dirette su mascherine, guanti, spiagge e acqua di mare, molto interessanti anche per il comparto turistico, come riporta Il Gazzettino.
CONSIGLI PER LA SPIAGGIA
«La fase 2 secondo me dovrebbe accomunarci tutti, è importante non andare disuniti e slegati – spiega Bassetti -. E’ chiaro che Liguria, Veneto, Toscana e Emilia Romagna hanno molte coste e occorrerà far sì che le persone tornino sulle spiagge nella massima sicurezza. Il distanziamento sociale rimane la misura più importante da osservare. Sento parlare di 3 o 4 metri, ricordiamoci che il virus può contagiare in uno spazio molto piccolo, quando abbiamo un metro o un metro e mezzo, se proprio vogliamo per sicurezza due metri, non ci sono rischi di contagio. Quando questa distanza non si può ottenere, si devono usare le mascherine».
IL REBUS GUANTI
«Serve fare chiarezza, leggo sui giornali che il problema che abbiamo avuto con le mascherine riguarda adesso i guanti. Non servono a nulla se si va in spiaggia, o se si porta a spasso il cane, come qualcuno ha detto in modo sbagliato. Possono servire al supermercato quando scegli la frutta o gli alimenti, servono a medici e infermieri, o a chi lavora dietro il banco alimentare nel momento in cui si maneggiano i cibi ma attenzione a dire alla gente dei guanti. Noi non abbiamo capacità produttiva per produrre milioni di guanti».
IL BAGNO IN MARE
E quando si va a fare il bagno, il virus può attaccarci? Acqua, correnti e distanze come interagiscono?
«Succede come con ogni altro microrganismo – ha risposto Bassetti -, in acqua il virus, è evidente, non potrà avere una quantità di forza infettante, non c’è problema. Vale il discorso di una goccia nel mare, anche se uno lo elimina in acqua, il mare è così grande che non ci saranno problemi di infettarsi, e ciò è valido non solo per il coronavirus ma anche per ogni altro tipo di virus».
L’ARIA CONDIZIONATA
C’è un problema con i condizionatori? «Occorre fare la manutenzione degli impianti e dei filtri, ad oggi non vi sono evidenze: il problema era venuto fuori sulla famosa nave in Giappone, ma in quel caso c’erano sistemi chiusi, non attrezzati per gestire un’epidemia interna alla nave. Dobbiamo essere tranquillizzanti sui sistemi di aria condizionata sennò si vive nel terrore. Chi lo ha sparso ha sbagliato…».
LA PROVA DEGLI ABITI
E sui tessuti? I vestiti nel negozio di abbigliamento vanno sanificati dopo ogni prova in camerino? «Sulle superfici il virus vive qualche giorno, di solito meglio su quelle plastiche e rigide. Guardi, io lavoro in un reparto di malattie infettive, quando torno a casa non metto sempre tutti i miei abiti a lavare, li ripongo nell’armadio e mi metto il pigiama… Bisogna vivere con un po’ di tranquillità senza l’ansia e il terrore che ormai attanaglia buona parte degli italiani».
L’APP DA SCARICARE
Si sostiene che l’app Immuni, se non la scarica almeno il 70% degli italiani, sarà inutile. Lei cosa pensa? E del fatto che limiti la libertà? «L’app è importante perché se si verificassero nuovi casi finite la fase 2 e 3 sarebbe importante capire con chi hanno avuto contatti nei 14 giorni precedenti, per “quarantennarli”. E’ evidente che se si utilizzano certi sistemi elettronici noi non siamo la Cina, ne va della libertà personale. Noi medici saremmo contenti che l’app funzionasse, però sappiamo anche che certe leggi sulla privacy non possono essere infrante. Per quanto riguarda la quota del 70% da raggiungere, non so da dove venga questa idea, l’app deve avere il 100 per cento, altrimenti non serve: se non traccia tutti, il calcolo delle probabilità ascia scoperto un altro 30 per cento. Se si decide di portarla avanti bene, deve funzionare su tutti, sennò troveremo altri sistemi. Quando siamo di fronte a un caso di meningite meningococcica si risale ai contatti avuti dalla persona colpita, per poi avviare la profilassi. Si useranno metodi tradizionali come questo».