Anche se la paziente era incosciente, le sue volontà scritte e confermate dall’amministratore di sostegno non potevano essere ignorate
TIVOLI — Il 1° ottobre 2020 G.L., medico dell’ospedale di Tivoli, è stato condannato per violenza privata a due mesi di reclusione (pena sospesa) per aver trasfuso una paziente trentaseienne Testimone di Geova contro la sua volontà. Il medico è stato anche condannato a risarcire i danni, la cui quantificazione è stata rimessa al giudice civile, a pagare una provvisionale al marito e ai genitori della vittima, e a coprire le spese legali.
Il caso
Nel 2013 Michela, una giovane donna di Montelanico (RM), viene trasferita d’urgenza all’ospedale di Tivoli per una grave insufficienza respiratoria. Per facilitare le terapie, la donna viene subito messa in coma farmacologico. Le volontà della paziente sono comunque indicate chiaramente nelle sue Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) e vengono confermate dall’amministratore di sostegno da lei preventivamente designato e nominato dal Giudice Tutelare con il precipuo potere di far rispettare la volontà di Michela di non essere sottoposta a emotrasfusioni. La donna accetta volentieri ogni terapia all’infuori delle trasfusioni di sangue. Incurante di tali chiare e vincolanti volontà, il 4 aprile il medico le somministra ben quattro trasfusioni di sangue, nonostante la paziente fosse in fase terminale, come si evinceva dai dati clinici a disposizione dei sanitari. Subito dopo l’ultima trasfusione, infatti, Michela viene a mancare.
Il significato per la giurisprudenza italiana
La condanna del Tribunale di Tivoli conferma la centralità del diritto all’autodeterminazione terapeutica sancito dall’art. 32 della Costituzione e ribadito dalla recente legge 219/2017. Ma fa di più: chiarisce che, anche se il paziente è incosciente, trascurare le sue volontà espresse tramite DAT e oltretutto ribadite dall’amministratore di sostegno appositamente nominato dal Giudice Tutelare espone il medico a una condanna penale.
“Accogliamo con soddisfazione questa decisione, che è destinata a fare giurisprudenza, hanno commentato gli avvocati della famiglia di Michela. Desideriamo ringraziare il Tribunale, in quanto nonostante il notevole carico di lavoro e la carenza di organico si è riusciti ad ottenere una sentenza prima del 4 ottobre, data in cui sarebbe maturata la prescrizione del reato”.
Una vicenda dove incombono principi di scienza e coscienza, di fronte ai quali si trova a fare i conti qualsiasi medico, che crede fermamente nella missione di dover “fare tutto il possibile per salvare un ammalato quando la sua vita è in pericolo”, proprio per perseguire il fine ultimo della sua professione: la difesa della vita, Questa condanna, già la seconda in Italia, ci dimostra che non è più così.
b.f.