ROMA – Li hanno trovati morti lunedì scorso, riversi sul pavimento, chiusi dentro casa, dopo giorni in cui non si vedevano in giro, chiamati da un parente preoccupato perché non rispondevano al telefono. I vigili del Fuoco per entrare hanno dovuto sfondare la porta di quell’appartamento di via Abigaille Zanetta, in zona Cecchignola.
Poi la scoperta, l’arrivo dei carabinieri, del medico legale, che non ha potuto far altro che constatare il decesso, infine la mortuaria, per portarli via, all’obitorio di Tor Vergata dove sarà eseguita l’autopsia che stabilirà con maggiore certezza cosa è veramente successo.
Da un primo esame non risultano infatti segni di violenza. Ma una morte per cause naturali oltretutto in sincrono appare davvero improbabile. La loro macchina ricoperta di polvere e foglie è ancora sotto casa, “ma non la prendevano mai” racconta Giulia, una vicina.
Lei, Fabiola, 53 anni, usciva spesso, faceva lunghe passeggiate, “Andava fino ai Granai, andava laggiù al supermercato, nei negozi. E il marito, carabiniere in congedo di 65 anni, la seguiva, qualche passo indietro, scuro in volto, vestito di nero, mai sorridente, con la barba lunga, incolta, trascurato, trasandato”, dice ancora. Fabiola bionda, piuttosto in carne, “sempre vestita come una ragazzina, fuori fase, gonnellina corta, che spesso le si alzava, guance con un trucco rosso, pesante, ombretto azzurro, scarpe da ginnastica, calzini con il pizzo, salutava tutti i negozianti alzando una gamba, piegandosi in avanti e facendo ciao ciao con la mano” racconta una barista. “La chiamavamo la bambolina, ma faceva tristezza, si vedeva che non ci stava tutta con la testa”.
Chi li conosceva bene sono i gestori della pizzeria Pepto, Raimondo e Marisol: “Venivano qui da più di 20 anni. Mia figlia era piccolissima, aveva qualche mese” racconta Raimondo. “Loro avevano una bambina, Annalisa: aveva 5, 6 anni, era carina, bionda, magrissima. La madre la portava sempre qui a mangiare, le davamo la pizza, le lasagne, il pane con l’olio, la pastina con il brodo. Si vedeva che ci teneva, ma non in qualche modo non sapeva come fare, si dimenticava, non esistevano orari, regole. Veniva anche il padre di Fabiola, spessissimo, lasciava da noi anche dei soldi da dare alla coppia: tutte le domeniche comprava le lasagne e poi andava su, da loro, a mangiarle. Che lei non stesse bene si vedeva. Poi un giorno abbiamo scoperto perché” ricorda ancora Raimondo. “Eravamo al parco qui davanti, quello, lo vede? Noi con la nostra bimba piccola e Fabiola con Annalisa. Arrivò una sua vecchia amica, per caso: non si vedevano da anni. Quando poi Fabiola se ne andò, la donna ci raccontò che era sconvolta, che Fabiola era diventata un’altra persona, che prima non era così, che era un insegnante ma che aveva avuto un incidente ed era finita in coma”.
Quando la piccola Annalisa aveva 5, 6 anni i servizi sociali la tolsero a quei due genitori che secondo le loro perizie non erano in grado di occuparsene. “La portarono via dall’oggi al domani, mi sono sempre domandata se un giorno l’avrei rivista” dice Marisol, “se sarebbe mai venuta a cercare sua madre. Sono sicura che la riconoscerei anche se non la vedo da 15 anni”.
La bimba data in adozione dai servizi sociali, la tristezza di Fabiola ma poi un’altra gioia: rimane incinta. “Era felicissima, veniva qui con il pancione, era un’altra bambina, ci disse che l’avrebbe chiamata Rosalba. Poi andò a partorire e quando tornò la bimba non era con lei. Data alla nascita in adozione”.
Dodici anni fa muore il padre di Fabiola. “Era un punto fermo nella sua vita, è stato terribile quando è morto” ricorda Marisol. Anche gli altri negozianti del quartiere ricordano la coppia, forse meno bene di Raimondo e Marisol. Ma tutti concordano: “Sono stati lasciati soli. Stavano male ma nessuno si occupava di loro”. E adesso un’autopsia dovrà scoprire fino a che punto.