L’unica potenzialmente fruibile quella del Policlinico Umberto I, ma non hanno personale specializzato. Alessio D’Amato ha gravi responsabilità su questa situazione critica da anni
ROMA – Il caso di Valerio Massimo Manfredi, il noto scrittore romano vittima di un’intossicazione da ossido di carbonio, fa riemergere una grave criticità dell’organizzazione sanitaria della Regione Lazio cioè la mancanza di camere iperbariche attive sul territorio da utilizzare in caso di emergenza.
Il 77enne sceneggiatore, autore e conduttore televisivo, è da ieri sera sottoposto al trattamento per l’ossigenazione del sangue in camera iperbarica presso l’Ospedale Misericordia – Servizio di Ossigenoterapia Iperbarica di Grosseto.
Il suo trasferimento, in elicottero Pegaso 33 dell’Ares 118 di Elitaliana, si è reso necessario dall’ospedale Policlinico San Camillo a quello della Misericordia di Grosseto per l’indisponibilità dell’unica apparecchiatura in funzione (sulla carta) nella Capitale che si trova al Policlinico Umberto I.
Per lui saranno decisive le prossime ore per capire l’evoluzione del quadro clinico decisamente più grave rispetto a quello della sua amica, la scrittrice e docente universitaria Antonella Prenner, intossicata come lui e ricoverata in terapia intensiva al Policlinico Umberto I di Roma.
Al di là di quanto accaduto, questo episodio ha riportato alla luce un problema mai risolto e sempre tenuto nascosto legato alla mancanza di una camera iperbarica funzionante negli ospedali gestiti dalla Regione Lazio.
L’unico ospedale che ne possiede una potenzialmente fruizione, è il Policlinico Umberto I di Roma. Chiusa ovviamente. Manca il personale specializzato per farla funzionare.
La Regione Lazio aveva iniziato un percorso formativo, nel mese di novembre dello scorso anno, per specializzare il personale medico-infermieristico nel settore delle lavorazioni subacquee e della gestione dei servizi iperbarici.
Gli standard professionali dei profili necessari per far funzionare le camere iperbariche sono: “Operatore Tecnico Subacqueo In-Shore”, “Operatore Tecnico Subacqueo Off-Shore”, “Operatore Tecnico Subacqueo Closed-bell”, “Operatore di camera iperbarica” ed “Assistente tecnico di camera iperbarica”, “Tecnico iperbarico”, Operatore tecnico iperbarico”.
Di questa iniziativa si sono perse le tracce o il personale, non è ancora formato visto che, con tutte le conseguenze che comporta il trasferimento (costi e danni irreversibili), Valerio Massimo Manfredi è stato trasferito in Toscana.
Un centro iperbarico è una struttura sanitaria altamente specializzata al trattamento di pazienti con particolari patologie, mediante somministrazione di ossigeno o miscele iperossigenate.
Lo scopo è quello di potenziare la quota di ossigeno disciolto nel plasma, garantendo l’ossigenazione tessutale anche in uno stato di alterazione.
Com’è possibile che l’assessore Alessio D’Amato non sia riuscito a risolvere questa grave carenza sanitaria?
Nel Lazio, dunque, non esiste una camera iperbarica operativa. Assenza che emerge in tutta la sua drammaticità ed evidenza in una regione, come il Lazio, a forte vocazione turistica e caratterizzata dalla presenza di oltre 130 km di costa che vanno dal confine con la Toscana a quella con la Campania.
Costa significa mare e quindi sport quali il diving e diverse attività di immersione che, complice anche un clima mite, si svolgono nell’arco di quasi tutto l’anno e non si concentrano solo nel breve periodo estivo.
Non solo. Ci sono i porti, dal più grande di Civitavecchia a quelli turistici più piccoli. Molti il sub lo fanno di professione, costretti a lavorare per ore a profondità elevate. Tutte attività a forte rischio che, sommate ad eventi causali come possono essere le intossicazioni da ossido di carbonio, fanno capire quanto sia indispensabile avere una camera iperbarica funzionante in uno dei tanti ospedali dislocati sulla costa e uno a Roma, la Capitale.
Evidentemente, chi governa questa Regione, non la ritiene una priorità (da anni).
Due i centri ufficiali esistenti (sulla carta) nel Lazio, quello dell’Icot di Latina (chiuso ormai da cinque anni) e quello già citato dell’Umberto I di Roma (mai operativo).
Ragioni per cui, chi viene malauguratamente colpito da una embolia gassosa, cosiddetta disfunzione da decompressione legata proprio all’attività del sub, oppure rimane vittima di un’intossicazione da ossido di carbonio, per ricevere adeguate cure è costretto ad essere trasferito in quelle più vicine che si trovano a Grosseto o Napoli.
Ovviamente il tempo gioca tutto a sfavore del paziente che potrebbe vedersi aggravare il proprio quadro clinico, con danni irreversibili a livello cerebrale.
Le camere iperbariche nascono per l’assistenza e soprattutto soccorso dei sub colpiti da embolia o costretti a lavorare in mare per molte ore in profondità.
Tante le polemiche alle camere iperbariche mai funzionanti nel Lazio nel corso di questi ultimi dieci anni.
L’ultima, in ordine cronologico, quella di Civitavecchia dove, l’ex presidente dell’AdSP del Mar Tirreno Centro Settentrionale, Francesco Maria di Majo, ha dato disposizione di smontare la camera iperbarica e la struttura che la conteneva e di trasferirla in un deposito di Pomezia in attesa di qualche compratore.
E’ bene ricordare che con la ossigenoterapia iperbarica si curano ben 15 patologie: embolia gassosa ed arteriosa, intossicazione da monossido di carbonio, gangrena gassosa da clostridi, infezione da flora batterica mista, gangrena umida delle estremità in diabetici, sindrome da schiacciamento, radionecrosi tissutale, sordità improvvisa, osteomielite, trapianti e lesioni chirurgiche a rischio, insufficienze vascolari, fratture a rischio di scarso consolidamento, algodistrofie post traumatiche e necrosi asettica, patologie retiniche, ferite infette da flora batterica mista.