ORTE – Riceviamo e pubblichiamo: Abbiamo voluto affrontare un aspetto specifico della scolarizzazione che riguarda Orte da vicino: quello dell’inclusione dei minori di cittadinanza straniera nel sistema scolastico.
La scuola è un luogo primario di socializzazione – affermano – e, in quanto tale, dovrebbe garantire la riduzione, se non l’abbattimento, delle disuguaglianze tra i bambini e tra i ragazzi.
In virtù di questo assunto, per i figli di cittadini stranieri la scuola è una delle prime occasioni di confronto con la cultura e le istituzioni del paese ospite.
Un luogo di inclusione, per l’appunto, che, però, di fatto, non assurge a tale ruolo. I minori stranieri incappano in barriere culturali e, in special modo, linguistiche, che ne ostacolano il processo di apprendimento, portando non solo povertà educativa personale ma anche al rallentamento dello svolgimento del programma dell’intera classe in cui studiano.
La scuola, così com’è improntata, da sola non riesce a colmare il divario di apprendimento iniziale che, sommato alle difficoltà socio-economiche del contesto di appartenenza, fanno sì che il ritardo si accumuli, diventando sistemico.
Noi riteniamo manchi una figura che faccia da ponte tra la scuola e le famiglie che, in un contesto multietnico come quello ortano, diventa indispensabile.
Abbiamo contezza che esiste un “Protocollo per l’accoglienza degli alunni stranieri” stilato nel 2011 dall’Istituto Omnicomprensivo di Orte ma non riteniamo che da solo sia sufficiente a sopperire alle necessità. Noi siamo convinti che occorra anche il “mediatore interculturale”.
Questa figura, difatti, collabora con la scuola per un buon inserimento e un’effettiva integrazione dello studente straniero. Non si può affidare solo alla scuola un argomento ed un ruolo tanto delicato.
Del resto, oltre a rendersi imprescindibile per il normale andamento scolastico dei diretti interessati, l’inclusione nelle scuole di minori con un background culturale diverso da quello del paese ospite, è una risorsa per tutti.
Un’opportunità che può pure coinvolgere docenti e famiglie, favorendo, così, il processo di integrazione anche fuori dalla scuola.
Ancora una volta bisogna partire dalla scuola.
La dispersione scolastica che, in caso di mancata integrazione, diventa l’inevitabile conseguenza, è un fenomeno sociale: i ragazzi che non riescono a sentirsi parte di un contesto socio-culturale, possono diventare bassa manovalanza della criminalità locale e, pertanto, uno strumento di controllo sociale e di incidenza sull’ordine pubblico.
Inquadrata nel più ampio contesto sociale – concludono – la figura del mediatore interculturale diventa cruciale.
Angela Botticelli
Gruppo Politico – Direzione Domani