CIVITAVECCHIA – In preda ai fumi dell’alcol ha cercato di uccidere un poliziotto che prestava servizio tra le strade di Tor Bella Monaca. Per questo Pietro Maruca è stato condannato a scontare 8 anni di reclusione, mentre il figlio è stato assolto dall’accusa di resistenza a pubblico ufficiale.
“Sono Yuri, la 8, sono stato attinto da un coltello. Perdo molto sangue, per cortesia”. La voce dell’agente Yuri Sannino, poliziotto di Civitavecchia ma in servizio a Roma, registrato nel luglio del 2019 mentre chiama i soccorsi dopo essere stato aggredito, testimonia le difficoltà che le forze dell’ordine devono affrontare quando hanno a che fare con una periferia come Tor Bella Monaca.
Quel giorno la volante 8 era intervenuta nei pressi di via dei Cochi perché l’aggressore, Pietro Maruca, aveva intrattenuto una “violenta discussione (…) con la moglie in via di separazione”, tentando “verosimilmente” di dar fuoco alla tabaccheria della donna. “Trovandosi in stato di ubriachezza”, recita il capo d’imputazione, il sessantenne originario di Lamezia Terme aveva urtato con la sua Renault Scenic (nel cui cruscotto era poi stato trovato un secondo coltello e un manganello) la Seat Leon della polizia, tentando di investire l’agente Yuri, “che nel frattempo era uscito dall’abitacolo attraverso lo sportello lato passeggero”.
Gli atti descrivono la scena: prima la colluttazione con l’agente che, arma in pugno, “si trovava incastrato tra le lamiere dei due veicoli”. Poi il tentativo dell’aggressore di uccidere il poliziotto. Infatti, dopo aver colpito l’agente tra il cuore e il polmone con un coltello da 15 centimetri, un “pattadese saddi”, avrebbe sferrato un secondo colpo, andato a vuoto. “Sono Yuri, la 8, sono stato attinto da un coltello. Perdo molto sangue, per cortesia”, diceva il poliziotto di 31 anni alla radio. Era stato un collega intervenuto a accompagnarlo al policlinico Casilino, visto che l’ambulanza tardava ad arrivare. Gli altri agenti avevano invece fermato l’aggressore. Non senza difficoltà.
Gli atti ricordano che “circa 30 persone si frapponevano tra gli agenti e il Maruca”. Tra questi c’era anche il figlio dell’imputato, successivamente accusato di resistenza e adesso assolto.
Secondo l’accusa, che aveva sollecitato una condanna a 16 anni e 4 mesi di reclusione, quella di Pietro Maruca è una “personalità prepotente, aggressiva e priva di freni inibitori”. Il dibattimento, ritengono evidentemente i giudici, ha dimostrato anche altro. I suoi problemi psichici sono certificati. E il suo vizio parziale di mente è stato considerato come un’attenuante capace di sminuire le aggravanti. È così l’imputato è stato condannato a scontare 8 anni di carcere, anche se in realtà il tempo trascorso realmente dietro le sbarre fino a questo momento è stato piuttosto esiguo.
Un risultato importante, quello ottenuto dalla difesa di Marruca. “Il processo ha dimostrato che il comportamento dell’imputato è stato condizionato dalle sue precarie condizioni psichiche – spiega l’avvocato Ettore Pieracciani – Siamo soddisfatti per il risultato raggiunto e per la serietà e la correttezza con cui il tribunale ha condotto l’intera istruttoria dibattimentale, ma non condividiamo alcuni profili tecnici. Decideremo se ricorrere in appello dopo aver letto le motivazioni”, conclude il penalista.