Il progetto della sede unica e l’ affondo all’ Università: “Non può portare avanti solo le proprie idee e il proprio tornaconto ostacolando i programmi altrui”
VITERBO – Riceviamo e pubblichiamo-
Gentilissimo Presidente,
Di occasioni dedicate al ringraziamento per quanto ha fatto e quanto continui a fare a pro della Biblioteca e soprattutto della Comunità di Viterbo e della Tuscia ne ho avute molte. E nessuna di queste occasioni di ringraziamento, sia essa stata pubblica o privata, è nata da piaggeria o volontà di accattivarmi la sua attenzione. Io non posso infatti non riconoscere i meriti, la vicinanza, l’appoggio dalle istituzioni, di qualsiasi colore e schieramento esse siano, e come ringrazio Lei, Signor Presidente, e lo faccio sinceramente, non posso esimermi allo stesso tempo dal ringraziare tutti i Sindaci di Viterbo, fino all’attuale Sindaco, il dott. Giovanni Arena, che con la Regione Lazio hanno condiviso, come Comune, l’appoggio per il risanamento, l’adeguamento e la ristrutturazione di Palazzo Santoro.
Quando si è trattato di idee serie, di battaglie di civiltà, come appunto la costruzione di un ascensore o la miglioria degli impianti, la Regione Lazio e Lei in prima persona avete speso impegno, attenzione nell’ascolto e prodigalità nell’aiutare. Perché a ben vedere si è trattato negli anni scorsi, e lo sarà ancor di più nel nostro immediato futuro, di tentare di concretizzare in maniera realistica quella che è la nostra idea di futuro, un futuro che siamo chiamati a progettare a tutti i livelli. Le sfide della ricostruzione post Covid-19 sono enormi, ma anche le prospettive e le possibilità che da ciò dipendono sono altrettanto importanti ed entusiasmanti. Il nostro paese è scosso chiaramente da una crisi economica dovuta alle doverose restrizioni imposte a tutta la popolazione, ma ora, e senza voglia da parte mia di dichiarare vinta una battaglia a un così infido nemico come il virus, è venuto il momento di rimboccarsi le maniche e iniziare a lavorare seriamente nell’ottica del domani.
La Biblioteca, che Lei, Signor Presidente, ha ormai imparato a conoscere come un pensatoio, come un bacino di cultura e di idee prima che un enorme bacino di libri, non è stata ferma in questi lunghi mesi di pandemia. Abbiamo strutturato nuovi servizi come la distribuzione porta a porta, modulato la nostra offerta in base alle esigenze di tutti, posto le basi per l’inizio dei lavori a Palazzo Santoro, in accordo con il Comune, grazie anche all’appoggio dell’Assessore ai lavori pubblici, dott.ssa Laura Allegrini, ma anche a quello del dott. Claudio Ubertini, Assessore all’Urbanistica. E tutto ciò solo per tenere fede a quello che è il nostro desiderio di andare incontro alla comunità e con l’obiettivo di poter offrire domani un servizio ancora migliore di quello che già prestavamo. Abbiamo letteralmente salvato – grazie anche all’aiuto della Fondazione Carivit e di privati cittadini – un Archivio Storico enorme che già è un fiore all’occhiello della nostra Biblioteca, ma che sono certo presto sarà un segno tangibile di rinascita. Allo stesso modo abbiamo posto a riparo da un naufragio annunciato tutti i nostri fondi storici, e tutto ciò basandoci quasi esclusivamente sulle forze e sulla ferma volontà dei nostri dipendenti, cui andrebbe rivolto il plauso da parte di tutta la città di Viterbo. Ma tutto ciò non è che la preparazione a quello che è il nostro sogno, il nostro progetto, il nostro obiettivo primo, ovvero la presentazione di un’idea, ovviamente relativa alla realizzazione della tanto sospirata Sede Unica per il Consorzio di cui mi onoro di essere Commissario Straordinario.
E proprio questo è il nucleo primo della mia comunicazione odierna. Non posso infatti negarLe come il Borgo della cultura, il progetto che vede oggi schierati affianco ASL di Viterbo, MIC e Regione Lazio, abbia rappresentato negli ultimi mesi un argomento che ha monopolizzato il dibattito locale. Di fatto il nostro Istituto è stato coinvolto in questo importante progetto in maniera più che generosa, con l’assegnazione di ampi e importanti spazi, che di fatto ci onorano della considerazione di cui godiamo nell’ambito della programmazione regionale e nazionale. Proprio a seguito di una gentile informativa circa il progetto da parte della dott.ssa Daniela Donetti, e poi anche grazie alla pubblica presentazione del piano di risanamento, ho avuto modo ed elementi bastevoli per impostare un’ampia riflessione sulla cosa, e sono oggi qui per declinare l’offerta fatta alla Biblioteca Consorziale, un’offerta che, ci tengo a ribadirlo, è stata, almeno in questa fase, più che prodiga.
Sulle motivazioni che mi spingono a questo passo è bene che mi chiarisca subito. Nella scelta non hanno influito, e non potevano certo farlo, né fattori politici, né irriconoscenza, né eventuali colpi di testa o peggio malcelate volontà di creare strappi istituzionali. Al contrario Lei per primo sa bene come il mio primario motto e ragione d’agire sia proprio la collaborazione, il fare sistema, il concertare interventi e visioni con tutti gli attori politici, istituzionali, culturali del territorio, e tutto ciò nella mia valutazione non poteva venir meno. Di conseguenza vorrei precisare come, nonostante quella che è di fatto la mancata adesione al progetto del Borgo della Cultura, la Biblioteca, i suoi dipendenti, i suoi collaboratori e amici, intendono continuare a collaborare proficuamente con tutte le istituzioni, prestando aiuto in maniera fattiva, ma comunque lavorando da attori esterni. Infatti se da un lato siamo sinceramente convinti che questo progetto possa rappresentare un’occasione importante per il nostro territorio, siamo allo stesso tempo convinti che la Biblioteca debba legarsi e insediarsi in altri luoghi e farlo con finalità differenti da quelle, rispettabilissime e condivisibilissime, che animano il progetto del Borgo della cultura.
Ho già avuto modo in mie precedenti comunicazioni di esprimerLe e renderLe palese quale sia l’idea di futuro che intravedo per questo territorio, e credo ne siano testimonianza lampante i diversi progetti di Sede Unica che la Biblioteca ha presentato negli anni, e che poi, per alterne vicende e a causa spesso di una volontà distruttiva più che costruttiva e di collaborazione di alcune frange delle istituzioni, non sono andati in porto. Si tratta del progetto della mia vita, e del precipuo mandato del mio commissariamento, che intendo e debbo portare a termine. Ricorderà certamente il progetto di riqualificazione funzionale dell’ex Caserma dei Vigili del Fuoco, di proprietà provinciale, ma anche quello relativo alle cosiddette Casermette, e ultimo, quello che volevamo realizzare entro lo splendido e dimenticato monastero di S. Simone e Giuda: sono tutte attestazioni della nostra volontà ferma di donare alla cittadinanza un luogo dedicato alla Cultura, che si inserisca come un cuneo entro il tessuto urbano della città, rivitalizzandone quartieri rimasti trascurati o semplicemente in attesa che un punto focale vi si inserisca e le ridoni vita, comunità, condivisione, in poche parole, propriamente “vita”.
Ad ogni modo io ritengo oggi più di ieri, che il futuro di questa Provincia e di questa Città non possano che legarsi alla crescita dell’Università della Tuscia, un ente il cui sviluppo non potrebbe portare che contraccolpi favorevoli alla comunità. Le avevo già scritto mesi fa (e contestualmente mi ero anche appellato alla dott.ssa Daniela Donetti e al Presidente della Provincia di Viterbo Pietro Nocchi) riguardo la possibilità, che ormai nella mia mente è divenuta una chiara e lampante necessità, di intraprendere quell’iter, che so bene lungo e complesso, che portasse Viterbo a dotarsi di una facoltà di medicina. E oggi, alla luce dei piani del Governo che puntano in maniera sostanziale verso un sistema medico di prossimità, e che intendono investire in questo campo ingenti somme del recovery plan, non posso che essere ancora più convinto delle mie parole in tal senso. Aggiungo però che un progetto simile, sicuramente lungo, difficile e tortuoso, è nostro compito, e anzi direi dovere, intraprenderlo anche e soprattutto in nome delle nuove generazioni, che troverebbero nella facoltà di medicina una valida alternativa allo studio in rinomate città universitarie distanti però dalla loro casa. Il peso economico che le famiglie debbono sobbarcarsi, l’impoverimento di cervelli cui viene sottoposto il nostro territorio, la privazione della forte spinta sociale che i giovani rappresentano, sono costi che la nostra provincia non può più sostenere, ed è evidente che un successo in tal senso arricchirebbe in maniera sostanziale il nostro territorio. Si tratta di una battaglia che è giusto che la mia e la Sua generazione si intestino, e che anzi, ne facciano il proprio fiore all’occhiello: un dono al presente della Tuscia e soprattutto, in prospettiva, un dono alle future generazioni, che potranno vedere in Viterbo una meta allettante sia dal punto di vista della cura della persona che dal punto di vista dell’istruzione in tal senso.
Che si tratti di una battaglia lunga e difficoltosa ne sono perfettamente cosciente, ma se le istituzioni riuscissero a stringersi intorno a un unico progetto, e catalizzassero la loro attenzione verso questo obiettivo, nulla sarebbe impossibile. D’altra parte già la fondazione stessa dell’Università della Tuscia fu una sfida assolutamente difficoltosa e costellata di inciampi, che però vennero appianati, risolti in nome di un ideale, di una speranza, di una idea di territorio. Ricordo ancora con commozione il primo Magnifico Rettore, prof. Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, che spese gli anni del proprio mandato per cementare l’alleanza tra Città, Istituzioni cittadine e Università, convinto com’era dell’unicità e importanza dell’opportunità che quest’ultima rappresentava per la Tuscia. E ricordo allo stesso modo il Magnifico Rettore, prof. Marco Mancini, che sul dialogo tra istituzioni, sul confronto con le realtà locali, e soprattutto in base a una rarissima e profondissima conoscenza del territorio, ha reso di fatto l’Università una realtà vitale e portatrice di benefici ai più alti livelli per la regione di appartenenza. Perché, e ne sono convintissimo, il mandato rettorale non può che basarsi su una profonda conoscenza e pratica del territorio, e in quest’ottica si muovevano anche le constatazioni del prof. Andrea Vannini, già candidato alla carica di Rettore nell’ultima tornata, che sottolineava come sarebbe impossibile un mandato illuminato senza una profonda coscienza delle vocazioni del territorio. Non voglio dire che l’Università non sia legata alla Tuscia, al contrario, i loro numerosi progetti ne attestano il radicamento e la fame di crescita, ma mi chiedo ancora come sia possibile che un Rettore neo eletto non risponda a decine di chiamate del sottoscritto e eviti anche di rispondere a due lettere ufficiali di invito inviate dal sottoscritto. Anzi, mi chiedo anche come sia possibile che un Rettore si meravigli e anzi si ritenga offeso – e di questo ho numerose conferme – per un manifesto da me pubblicato sulla rivista del Consorzio, Biblioteca&Società, circa la maleducazione istituzionale che ha pervaso i rapporti con l’Università sotto il precedente Magnifico Rettore, e che direi, continua anche oggi. Rimango quindi basito di come l’attuale Rettore, che io non conosco e non mi permetto di giudicare sul piano professionale, possa chiedere al Presidente della Provincia Pietro Nocchi di farsi latore di un’istanza di rimozione dello stesso manifesto dalle sale della Biblioteca, che è non casa propria, ma la casa di tutti, un luogo pubblico e di trasparenza. Perché se l’Università non ha intenzione e intelligenza di dialogare con il suo territorio e tende a portare avanti solo le proprie idee e il proprio tornaconto, ostacolando anzi visioni e progetti già ampiamente navigati, il meccanismo del “sistema istituzionale” non può che incepparsi e a risentirne non è altri che il territorio di appartenenza. Senza questa necessaria attenzione al bene della Comunità entro cui le Istituzioni operano e prosperano, anche l’Università rischia di divenire una torre d’avorio, discoste dalle aspettative e dalle possibilità che il territorio offre e che dovrebbero essere potenziate. E sono certo che l’apertura di una facoltà di Medicina sia proprio ciò che il territorio e i tempi oggi richiedono, ciò di cui il territorio avrebbe bisogno, e ciò che i nostri tempi hanno dimostrato essere necessario. La Tuscia ancora una volta si trova davanti a una sfida e alla conseguente possibilità di divenire un attore importante, anzi, un vero punto di riferimento, nell’ambito della formazione e della cura della persona.
Tornando al progetto del Borgo della cultura ci terrei a sottolineare come io sia fortemente convinto che la vocazione storica dell’ex Ospedale Grande degli Infermi non possa e non debba essere cancellata. I luoghi mantengono nella loro fisionomia una traccia indelebile delle loro precedenti funzioni, e sebbene quegli spazi, per ragioni assolutamente note, non fossero più adatti ad essere sede di un Ospedale, è altrettanto certo e notorio che quegli spazi, già nei primi nuclei cinquecenteschi, fossero stati espressamente pensati per aiutare la cittadinanza, per soccorrerla, per guarirla nel corpo e anche nello spirito. Il destinare quegli immensi spazi a sede di importanti centri e istituzioni culturali è sicuramente lodevole e interessante, ma non mi sentirei di trascurare ciò che quel luogo ha rappresentato anche nell’immediato passato, e non mi sentirei allo stesso modo di dimenticare e cancellare la sua natura storica. D’altra parte la cultura è un frutto umano, e senza la salute e la salvaguardia della mente e del corpo, la cultura stessa non potrebbe in nessun modo fruttificare. Penso quindi che questi ampi spazi potrebbero ospitare in maniera degna e assolutamente conforme alla loro originale vocazione le aule della futura facoltà di Medicina, costituendo un altro punto di quel campus urbano diffuso che è in molte realtà universitarie, italiane e no, uno dei principali motivi di rivitalizzazione dei centri storici.
Come già detto, vengo quindi a formalizzare il fatto che la Biblioteca intende rinunciare agli spazi a lei virtualmente proposti, una rinuncia che non è segno di ingratitudine, ma al contrario, si inscrive nell’ottica del dono, perché speriamo e anzi siamo certi, che quegli spazi verranno donati a pro della comunità, e utilizzati a suo vantaggio con la creazione di qualcosa di veramente grande come la facoltà di Medicina. Qualora vi fosse la possibilità di indirizzare in maniera pratica l’utilizzo e la destinazione di quegli spazi, vorrei, e anzi chiedo formalmente, che questi spazi vengano messi a disposizione dell’Università della Tuscia, per la formazione dei ragazzi, per la formazione nel campo bio-medicale. D’altra parte sono più che certo che l’Università avrà idee e competenze per sfruttare al meglio quegli spazi, e renderli una parte importante di quel grande progetto culturale di rinascita, amalgamandosi al contesto, e anzi divenendone un attore cardine.
D’altra parte la mia proposta è tutt’altro che polemica, e si basa al contrario su una constatazione: è assolutamente notorio infatti che l’Università sia ormai il punto di riferimento di qualsiasi operazione cittadina, e ne è testimonianza la meritoria volontà di questa istituzione di espandersi, offrendo i propri servigi su più fronti. Ad esempio rivendicando diritti – come emerge da una recentissima intervista del Magnifico Rettore – sulla ex Caserma dei Vigili del Fuoco, data ormai come scontato campo di espansione dei già ampi spazi di S. Maria in Gradi. O il loro progetto riguardante le cosiddette “Casermette”, purtroppo però impostato sulla poco condivisibile scelta di cancellare la memoria storica del luogo, abbattendo un bellissimo edificio razionalista per costruirvene uno ex novo, un aspetto discutibile questo che anche la stampa locale, proprio ieri, non ha mancato di rilevare. E ancora chiamo a testimonianza di tutto l’impegno e la forza espansionistica dell’ateneo della Tuscia, la loro dedizione nella cura e salvaguardia del nostro Museo Civico, nonché la loro promessa di ereditare l’ormai ex Laboratorio Provinciale del Restauro, una visione quest’ultima che per altro gli è già valsa l’inclusione entro il progetto del Borgo della cultura. In aggiunta a tutte queste benemerite operazioni, che siamo certi porteranno un ottimo tornaconto alla comunità, vorrei citare anche l’intenzione dell’Università di ottenere in affidamento il Villino Rosi situato presso “La Quercia”, e anch’esso di proprietà provinciale, per il quale anche la nostra Biblioteca aveva presentato un dettagliato progetto di utilizzo. Ma davanti ad una forza simile, e a una volontà così netta e lungimirante, una semplice Biblioteca, che presta il proprio servizio a pro della comunità, degli ultimi, e non solo del colto pubblico accademico, e che vorrebbe spostarsi più nelle periferie che collocarsi entro una raffinata e complessa struttura al centro della città, con umiltà e oculatezza, la stessa Biblioteca non può che inchinarsi e cedere il passo e restituire alla cittadinanza uno spazio che le era stato destinato in dono.
Proprio nell’ottica di collaborazione torno a insistere sul fatto che il nostro addio potrebbe rappresentare per il Borgo della cultura un momento di accrescimento e ripensamento. Infatti il progetto, cui si aggiungerebbe quello della facoltà di Medicina, potrebbe venire a vantare un nuovo tassello importantissimo che in realtà è rimasto clamorosamente trascurato sul nostro territorio, ma che ne rappresenterebbe il vero e proprio volano. Questa è la via da percorrere, io dal mio piccolo non ho dubbi. E benché la mia sia una volontà totalmente elogiativa verso il penetrante operato dell’Università, non posso che mettere in luce come l’Università abbia deciso al contrario di scommettere e investire su Ingegneria più che intraprendere una sacrosanta battaglia per medicina, e questo investimento viene portato avanti pur in assenza completa di un indotto industriale che possa riassorbire i laureati che saranno di fatto costretti, una volta laureati, a dover emigrare per applicare ciò che hanno appreso qui nella Tuscia. Al contrario medicina troverebbe un fertile terreno nel territorio, andando ad affiancarsi al sistema sanitario locale nella cura delle persone e nell’aiutare i nostri giovani in un momento di così stringente emergenza occupazionale.
In chiusura di questa mia però, mi sia permesso di annunciarLe un qualcosa che ritengo veramente importante per il nostro territorio. Durante questo anno di pandemia, e ancora oggi, la Biblioteca continua a lavorare alacremente per la presentazione di un progetto, il che avverrà a Settembre. Abbiamo infatti strutturato un progetto operativo, redatto in maniera totalmente gratuita e con spettacolare dedizione da un team di giovanissimi architetti italo-inglesi, che hanno voluto donare il loro lavoro a pro della nostra terra. Intendiamo con questo progetto, che investe in pieno la struttura di Palazzo Santoro, già beneficiaria di un bando regionale, rivitalizzare un intero quadrante di Viterbo, offrendole qualcosa che la città non ha mai potuto o avuto forza di sognare, un luogo deputato alla cultura, alla lettura, allo studio, ma soprattutto un centro di aggregazione, un centro di vita. Si tratta del modo migliore che ho trovato, in anni e anni, di tenere fede al mio mandato di Commissario, e spero che sia un progetto che possa affascinare e convincere tutti gli attori politici e istituzionali che saranno chiamati a scendere in campo. D’altra parte il mio abbandono del Borgo della cultura è un passo in qualche modo anche doveroso nei confronti di quei giovani intraprendenti e bravissimi professionisti, che hanno investito tempo, energie, passione e professionalità nel tratteggiare un futuro diverso per la Biblioteca, per la città e soprattutto per quel quadrante urbano che esiste, spento e demotivato, tra Piazza della Rocca, Basilica di S. Francesco, Piazza del Teatro, Corso Italia, Viale Marconi e Monastero di Santa Rosa. La Biblioteca deve vivere nella città, e deve esserne in qualche modo il motore ideale e culturale. Noi intendiamo donare alla città tutto ciò, e la nostra forza sarà concentrata proprio in questa direzione. Come Commissario mi rendo conto delle difficoltà del caso, e nella mia mente continuano a rimbombare le parole di Giorgio Ambrosoli, scritte nero su bianco alla moglie quattro anni prima di essere assassinato, un vero e proprio testamento che credo si adatti benissimo ai miei pensieri di oggi, quando vedo intorno a me addensarsi nubi dovute alla maleducazione istituzionale e alla voglia di intimidire le idee, la forza di queste e soprattutto l’incapacità di dialogo tra le istituzioni, ognuna arroccata nel procacciarsi il proprio bene senza pensare a quello della Comunità. Ovviamente io non credo di essere in una situazione tanto spinosa e rischiosa, ma allo stesso tempo da Commissario, da uomo, da disabile, sono senza dubbio stanco, amareggiato, offeso e dolorante per tutti questi fattori che esacerberebbero anche l’uomo più mite e più determinato:
“Sono pronto per il deposito dello stato passivo della Banca privata italiana, atto che non soddisferà molti; il fatto di dover trattare con gente di ogni colore e risma, non mi tranquillizza affatto. E’ indubbio che in ogni caso pagherò a molto caro prezzo l’incarico; lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata l’occasione unica di fare qualcosa per il Paese.”
Queste parole di Ambrosoli, ritrovate dalla moglie solo dopo la sua morte, le trovo particolarmente espressive, importanti, illuminanti e soprattutto di una modernità sconvolgente e attinenti alla situazione attuale nella quale la Biblioteca e io stesso come Commissario ci troviamo. Viviamo infatti in un paese democratico, e trovo inaccettabile essere intimidito, minacciato per le mie idee, e per il solo fatto di aver raccontato e ricostruito quelli che sono i fatti relativi alla maleducazione istituzionale. Io resto a disposizione di tutti per il dialogo, ma non resto a disposizione per chi si muove per vie traverse e chiede la rimozione di quella che è la sacrosanta verità e che è un mio precipuo dovere comunicare ai miei utenti e ai cittadini. Ricalco in questo alcune sue parole: “mi vergogno, ma non mi dimetto e lotterò fino alla fine” e – aggiungo – non debbo chiedere scusa a nessuno per il mio operato e per quella che è la verità. E comunque in me vige anche la cultura del perdono.
Paolo Pelliccia
Commissario Straordinario
Biblioteca Consorziale di Viterbo