VITERBO – Dal Governo, nell’ambito del Pnrr, arriveranno in tre anni 130 milioni a fondo perduto contro la deindustrializzazione. Nel Lazio ne beneficeranno tutte le province tranne quella di Viterbo. Ne usufruiranno, ad esempio, i consorzi per lo sviluppo industriale del Lazio Meridionale, del Sud Pontino, di Roma-Latina, di Frosinone e di Rieti. Al contrario, neanche una lira per Civita Castellana, il Poggino o l’Acquarossa. Come dire: potrà attingere ai fondi Magliano Sabina, ma non la confinante Civita Castellana.
A denunciare l’assurdità della situazione è Luisa Ciambella, che mette sotto accusa non il Governo, ma l’attuale classe politica viterbese che non è stata in grado di rappresentare le ragioni della Tuscia: “Questi fondi – spiega – sono stati stanziati secondo i criteri di una legge del 1950, la 646, ovvero la famosa Cassa del Mezzogiorno, dove, per volere della classe dirigente feudale e latifondista dell’epoca, Viterbo non confluì, dicendo così no, nei decenni successivi, allo snodo autostradale e a quello ferroviario, dirottati poi a Orte. Oggi, purtroppo, quella mentalità non ci ha ancora abbandonato”. Di fatto, è il ragionamento di Luisa Ciambella, pur non trovandosi nella Cassa del Mezzogiorno, Viterbo avrebbe potuto comunque ottenere parte di queste nuove risorse se solo i parlamentari locali, come è avvenuto in circostanze analoghe negli anni passati, avessero presentato degli emendamenti o avessero rappresentato il problema. Peccato, invece, che nessuno di loro se sia accorto: “La politica che ci rappresenta a livello nazionale e regionale davanti a una opportunità come questa – dice – in un momento dove peraltro l’aumento dell’energia elettrica sta mettendo in ginocchio decine di attività, invece di seguire gli opportuni iter parlamentari per ovviare alla mancanza, è restata con le mani in mano. Perché non sono stati presentati emendamenti, come pure in passato è stato fatto? Ricordo l’estensione degli ammortizzatori sociali del cosiddetto pacchetto Treu: pensati come misura all’interno della Cassa del Mezzogiorno, furono poi estesi a Viterbo proprio grazie a un emendamento. E invece stavolta no: oggi procede tutto nel silenzio più assordante come nelle più remote province dell’impero”.
Ci sarebbe voluto poco per far riconoscere le nostre ragioni: “Sarebbe bastato incrociare il tasso di disoccupazione con le percentuali di fallimenti delle nostre aziende, immagino. Penso a tutti gli imprenditori della Tuscia, a tutti gli insediamenti industriali locali, in particolare a quelli di Civita Castellana, Poggino, Acquarossa. Penso agli insediamenti produttivi apparentemente minori dove fioriscono aziende innovative e all’avanguardia, ma che nonostante ciò ogni giorno lottano per la sopravvivenza. Mi chiedo: con una politica in sinergia con la realtà della società che rappresenta tutto questo sarebbe accaduto? Si sarebbe trovato il modo di garantire le stesse opportunità anche ai nostri industriali che, come e più dei colleghi regionali e nazionali, rischiano ogni giorno di fallire?”. La conclusione: “Mi appello a tutte le persone di buona volontà, ad ogni categoria che rappresenti il nostro tessuto sociale, a partire da chi, come gli imprenditori, produce ricchezza: ma non sarà ora di cambiare registro? Perché rassegnarsi a farsi rappresentare da chi con il cappello in mano va a trattare a Roma solo per questioni particolari e non per lo sviluppo di un’intera terra che ha potenzialità immense, ma che è da sempre saccheggiata proprio per volontà dei propri governanti? Chi poteva proporre emendamenti o altri percorsi legislativi che superassero questo impedimento cosa ne pensa? Cosa ne pensano le associazioni datoriali e la Camera di commercio? Non è giunto il momento di cambiare rotta? Di mettersi tutti dalla stessa parte: quella del territorio? Il gioco del ‘non è mai colpa nostra ma degli altri’ e la volontà di non volersi mai assumere responsabilità nel segno del ‘bene comune’ sono il vero virus che i cittadini non possono più tollerare e che rischia di uccidere veramente”.