TARQUINIA – Tante aziende agricole nella Tuscia si stanno fermando. Non sono più in grado di sostenere gli acquisti dei mezzi tecnici e perderanno grande parte delle colture già in essere.
Il grido di allarme è generale, come hanno spiegato gli agricoltori di Tarquinia sull’orlo di una crisi che li ha spinti a manifestare bloccando i trattori nel piazzale della cooperativa Pantano. Un presidio che punta ad allargarsi nei prossimi giorni.
“Molte aziende agricole non effettueranno le semine primaverili e le aziende zootecniche abbatteranno i loro capi”, il quadro disastroso di Confagricoltura Viterbo – Rieti, per voce del presidente Remo Parenti che chiede “l’immediata riduzione delle accise e dell’Iva sui carburanti e l’introduzione di ogni provvedimento necessario a limitare gli aumenti senza precedenti dei costi produttivi ed in particolare dell’energia”.
Come se non bastasse poi, in gran parte della provincia di Viterbo si registra una siccità tale da rendere vitale una pioggia vera entro massimo una decina di giorni.
«Se vogliamo salvare l’agricoltura viterbese – scandisce Parenti – siamo forse all’ultima chiamata».
«Un 2021 pieno di avversità climatiche, gli aumenti costanti dell’energia e dei mezzi tecnici necessari per la produzione, la continua sottrazione di valore aggiunto da parte degli industriali trasformatori e della Gdo, la sempre più asfissiante rete di vincoli e di adempimenti richiesti alle aziende, la endemicità del Covid con le restrizioni conseguenti – spiega Parenti – avevano già di per sé messo in difficoltà la totalità delle aziende agricole viterbesi, in particolare le aziende zootecniche. La situazione russo-ucraina delle ultime settimane non ha fatto altro che rendere perfetta la tempesta che investe il comparto agricolo (e non solo) del nostro territorio. In un momento in cui ci si rende conto dell’importanza del compito dell’agricoltore italiano in quanto produttore di cibo, temiamo che il nostro settore si trovi nell’impossibilità di adempiere alla sua principale funzione».
«Anni di disincentivazioni alla produzione, di prezzi talmente bassi da scoraggiare e talvolta rendere impossibili gli investimenti di sostituzione, il venir meno della ricerca, quando non il divieto, il tutto unito ad una visione distorta e strumentale della sostenibilità ambientale – aggiunge il presidente di Confagricoltura – hanno ridotto fortemente la capacità produttiva delle nostre aziende. Venti anni fa in provincia di Viterbo si coltivavano 60.000 ettari di grano duro, nel 2020 solo 20.000. Nel frattempo ben 33.000 ettari di superficie agricola sono rimasti inutilizzati e stanno per perdere, o forse hanno già perso, la possibilità di essere coltivati. Il mais, di cui in provincia eravamo grandi produttori, è divenuto impossibile da seminare, sia per gli attuali costi, sia per l’incontrollato proliferare della fauna selvatica e dei cinghiali in particolare, capaci di distruggere anche totalmente ettari di coltura. Stesso discorso per il girasole. Diventa quindi doveroso, da parte nostra, denunciare, come del resto ho già fatto in passato, sia questo stato di cose, sia la prospettiva per l’immediato futuro”.
“Chiediamo – spiega Parenti – immediati interventi volti a controllare e contenere il proliferare della fauna selvatica particolarmente numerosa nell’Alto Lazio e chiediamo, inoltre, anche l’ immediata attuazione del decreto contro le pratiche sleali all’interno delle varie filiere ed in particolare di quella del latte. Le fatture di vendita e di acquisto dei produttori, trasformatori e Gdo devono essere acquisite e confrontate per evitare speculazioni in questo momento letali. Siamo convinti che chi sfrutta gli agricoltori ora sfrutta l’intera cittadinanza, ma siamo altresì fiduciosi, che le attuali difficoltà possano servire a ristabilire una maggiore equità e giustizia nei rapporti economici e sociali, a rendere più forte l’agricoltura, e soprattutto a garantire la sicurezza alimentare, intesa come certezza di approvvigionamento di cibo, per tutta la popolazione».