Il presidente dell’Università Agraria era finito in manette con l’accuse di peculato, abuso d’ufficio e falso
CIVITAVECCHIA – Daniele De Paolis è tornato in libertà. Ieri mattina il Tribunale di Roma del Riesame ha accolto le motivazioni presentate dall’avvocato Lorenzo Mereu per conto del suo assistito, arrestato l’8 marzo scorso, dalla Procura di Civitavecchia.
Il presidente dell’Università Agraria di Civitavecchia Daniele Da Paolis era stato sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, chiesta dal pm Alessandro Gentile per le accuse di peculato, abuso d’ufficio e falso. L’arresto era arrivato al culmine di una attività investigativa condotta dalla Guardia di Finanza di Civitavecchia e coordinata dallo stesso sostituto procuratore della Repubblica Gentile.
L’indagine sarebbe nata dalla denuncia presentata da un ex dipendente dell’ente. In base ai riscontri ottenuti dalle Fiamme Gialle, De Paolis avrebbe speso soldi dell’Agraria per motivi personali, presentando delle ricevute false per giustificare i prelievi fatti dai sportelli bancomat.
In sostanza Daniele De Paolis – secondo l’accusa – avrebbe speso soldi dell’Agraria per motivi personali, prelevando con il bancomat dell’ente un importo complessivo di circa 5mila euro.
De Paolis dovrà rispondere di abuso d’ufficio per la spinosa vicenda relativa agli usi civici e nello specifico alle certificazioni che l’ente civitavecchiese ha rilasciato ad alcuni cittadini che ne hanno fatto richiesta, circa la presenza o meno di gravami sui terreni di loro proprietà.
Un tira e molla con la Regione Lazio sulla validità o meno delle attestazioni durato lunghe settimane e sfociato prima in un caso politico, che alla fine si è concluso con un pesante provvedimento dell’autorità giudiziaria.
Per i due componenti dell’organo di amministrazione si starebbe indagando sulla regolarità della compravendita di alcuni capi di bestiame.
PRESUNZIONE DI INNOCENZA – Il soggetto indagato è persona nei cui confronti vengono effettuate indagini durante lo svolgimento dell’azione penale; nel sistema penale italiano la presunzione di innocenza è tale fino al terzo grado di giudizio e la persona indagata non è considerata colpevole fino alla condanna definitiva.