Zingaretti prova a tutelare il suo “pupillo” D’Amato ma la “corrazzata” Leodori mercoledì apre ufficialmente le ostilità con una presentazione in grande stile
ROMA- Fino a poco tempo fa le primarie erano certe al cento per cento ma alcuni sondaggi diffusi (ad arte?) nei giorni scorsi hanno frenato gli entusiasmi iniziali. Secondo alcuni, meglio non far decidere iscritti e simpatizzanti ma puntare subito sul “cavallo vincente”.Il cosiddetto “cavallo vincente” sarebbe Alessio D’Amato, assessore alla sanità diventato famoso grazie alla gestione della pandemia e della campagna vaccinazione nel Lazio. E grazie a innumerevoli prime pagine nei giornali e decine e decine di passaggi televisivi.
Purtroppo la sanità nel Lazio non è solo Covid-19. C’è tant’altro. E quando si parla di altro vengono i brividi.
Andiamo con ordine. Da mesi l’intero centrosinistra regionale parla di primarie per la scelta del successore di Zingaretti alla guida della regione Lazio. E lo fa, a ragione, dicendo che tale scelta rappresenta lo strumento più democratico possibile. La scelta, dunque, passa per iscritti, simpatizzanti, elettori.
Tra i primi a lanciare le primarie nel centrosinistra proprio Nicola Zingaretti. Ed il primo a candidarsi proprio Alessio D’Amato, che il 4 maggio scorso ha annunciato l’intenzione di scendere in campo. Poi il colpo di scena. Il 20 maggio un sondaggio Emg/Adnkronos recita: “Regione Lazio, sondaggio, D’Amato in pole per battere centrodestra”.
Da quel momento, all’interno del centrosinistra, la strada delle primarie comincia a diventare un po’ più freddina. Sembra che anche lo stesso Zingaretti non sia più tanto convinto.
Perché, comunque, le primarie un favorito lo hanno. E si chiama Daniele Leodori, Vicepresidente della Giunta e assessore al bilancio. Che scalpita per misurarsi contro il suo “avversario” per essere designato dai cittadini quale successore di Nicola Zingaretti.
Proprio per questo Leodori ha deciso di rompere gli indugi. L’8 giugno ufficializzerà la discesa in campo durante un evento organizzato al laghetto dell’Eur. Da quella data non si potrà più tornare indietro. E allora i due si sfideranno per la candidatura a Presidente della regione.
Uno (Leodori) vantando una miriade di voti, l’altro (D’Amato) la buona gestione della pandemia (dice). Ma, come detto, nel Lazio non ci si ammala di solo Covid.
Negli ultimi mesi molti quotidiani nazionali hanno cominciato (finalmente) a mettere in risalto le sofferenze del sistema sanitario regionale del Lazio. E lo fa soprattutto un quotidiano che tutto è meno che di centrodestra: “Repubblica”.
Pronto soccorso al collasso, file immense di barelle e autombulanze ferme presso gli ospedali laziali, prenotazioni quasi impossibili con un appuntamento per una Tac (tanto per fare un esempio) fissato al 2023. Facile andare in televisione ad annunciare aperture di Hub vaccinali, l’alta copertura di cittadini vaccinati, di posti letto destinati ai malati covid. La sanità è soprattutto altro.
Con la pandemia tanti posti letto sono stati destinati a strutture private ma quello che fa più rabbia è l’articolo, sempre di Repubblica, che titola “I privati divorano la sanità – Nel 2021 un calo del 22% dei servizi erogati. E solo il 37% direttamente dal sistema sanitario nazionale. Oltre tre quarti dell’assistenza regolarmente dirottata sulle cliniche”.
Dunque, non è tutto oro quello che luccica. Anzi, attualmente nella sanità laziale non luccica quasi niente.
Ma c’è dell’altro. Alessio D’Amato deve ancora affrontare una imbarazzante vicenda innanzi alla Corte dei Conti che risale a circa sedici anni fa. Sul fronte penale se l’è cavata con una prescrizione. Ma i giudici contabili da anni gli presentano il conto. Secondo la Procura contabile 275mila euro di fondi regionali che dovevano essere destinati ad un progetto in sostegno delle popolazioni amazzoni, sarebbero stati utilizzati per finanziare indebitamente l’attività politica dell’associazione Rosso Verde – Sinistra europea.
Associazione che, sembra, avrebbe fatto riferimento proprio a D’Amato. In un articolo a firma Clemente Pistilli pubblicato su Repubblica il 28 maggio scorso, si legge “Pagare con lo sconto e veder esclusa anche la propria responsabilità nel danno erariale contestato, scaricando tutto su un coimputato, non è possibile… La mossa è stata tentata dall’assessore D’Amato… Una richiesta che i magistrati hanno dichiarato inammissibile”.
Chi chiediamo, vista la gravità delle contestazioni in atto, cosa pensa Nicola Zingaretti di tutto ciò. Lo stesso Zingaretti che, nel 2013, all’indomani dello scandalo che si è abbattuto sulla regione Lazio (e non solo) denominato “Rimborsopoli”, decise di porre il veto sulle candidature di tutti i consiglieri della coalizione di centrosinistra (non solo PD) uscenti. Alcuni esponenti del PD sono comunque stati candidati alle politiche, ma altri consiglieri uscenti della coalizione hanno avuto il veto nonostante completamente estranei a tutto il casino successo.
Pensiamo a Luciano Romanzi, Anna Maria Tedeschi e Giulia Rodano, ai Radicali Rossodivita e Berardo, coloro che hanno scoperchiato il vaso di pandora. Non candidati perché non ci dovevano essere ombre.
Quelle ombre che adesso Zingaretti, campione dell’incoerenza, non vede per D’Amato.
Eppure, i 275 mila euro di sedici anni fa sono fondi regionali proprio come quelli della tanto discussa “Rimborsopoli” del 2012.