L’agguato mortale fu sventato dall’eroico intervento degli uomini della scorta guidati dal poliziotto eroe Daniele Manganaro. Alla sbarra 101 imputati e con essi un sistema mafioso milionario fatto di connivenze e silenzi. I giudici ritirati in Camera di Consiglio dal 24 ottobre scorso potrebbero emettere la sentenza addirittura oggi
PATTI (ME) – Un meccanismo interrotto dal “Protocollo Antoci” poi recepito nei tre cardini del Nuovo Codice Antimafia e votato in Parlamento il 27 settembre 2015. Per tutto ciò l’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, oggi presidente onorario della Fondazione Caponnetto, ha rischiato la vita in quel tragico attentato mafioso del 2016 dal quale si è salvato grazie all’auto blindata e al violento conflitto a fuoco ingaggiato dai poliziotti della sua scorta, tutti promossi per merito straordinario e medaglia al valore.
La Tuscia, in particolare Tarquinia, ha un fortissimo legame con Giuseppe Antoci al quale il sindaco Alessandro Giulivi ha conferito la cittadinanza onoraria nel giorno in cui si ricordano tutte le vittime della Mafia.
Legame divenuto indissolubile grazie soprattutto al primo dirigente della Polizia di Stato, Daniele Manganaro, eroe premiato per il coraggio e l’altruismo per quei fatti avvenuti il 17 maggio 2016 che ha prestato servizio a Tarquinia e oggi dirige il Commissariato di Massa Carrara.
Il processo volge dunque al termine con le richieste di condanna del luglio scorso per 1045 anni di carcere e 30 milioni di euro di confische. Un procedimento che si è celebrato in tempi record con un grande lavoro svolto dal Tribunale presieduto da Ugo Scavuzzo e dalla Procura diretta fino a qualche giorno fa da Maurizio De Lucia oggi Procuratore di Palermo.
Un grande impegno dei quattro PM che si sono alternati per ricostruire l’intera vicenda: Il procuratore aggiunto Vito Di Giorgio, i sostituti della DDA Fabrizio Monaco e Antonio Carchietti e quello della Procura Alessandro Lo Gerfo che non si sono risparmiati lavorando alacremente tutti i giorni. Un vero esempio di efficienza della tanto vituperata giustizia italiana.
“…Sarò presente in aula alla lettura della sentenza – dichiara Antoci – che chiude un cerchio, scrive una pagina di storia e libera un territorio. Da quel 2013 non avrei mai immaginato di attraversare una strada così tortuosa, non avrei mai pensato di dover rischiare la mia vita e perdere la mia libertà, così come non avrei certamente mai pensato di contribuire a creare una norma dimostratasi devastante per le organizzazioni mafiose…
Sono stati anni di sofferenze e preoccupazioni ma anche di vittorie. Spero in un verdetto esemplare che possa alleviare almeno in parte tutto il dolore di questi anni. Sono infatti convinto che nell’accidentato cammino della vita – gravido di inside, tragedie, paludi, meschinità, zavorre e miserie – la resilienza e la difesa senza se e senza ma della dignità rimane la sola vitale questione dell’essere umano. Ecco io ho tentato di fare solo questo e solo questo porterò dentro quell’aula ascoltando una sentenza emessa nel nome del Popolo Italiano…”.