ROMA – Il Direttivo della Camera Penale di Roma, presieduta dall’avvocato Gaetano Scalise, all’unanimità ha deciso di proporre denuncia querela nei confronti del giornalista Sigfrido Ranucci.
Secondo i penalisti capitolini, si legge in una nota, «nella trasmissione Report del 3 aprile scorso sono andate in scena gravissime insinuazioni e gratuite diffamazioni che sfociano persino nella calunnia nei confronti di alcuni dei più apprezzati componenti della nostra Associazione, incredibilmente additati a sospetto come possibili veicoli per la diffusione al di fuori del carcere di ordini criminali provenienti dai detenuti posti in regime di 41 bis».
Il pm Nino di Matteo, in merito ai messaggi che i reclusi al carcere duro riescono comunque a veicolare all’esterno, durante la trasmissione «rappresentava la possibile strumentalizzazione a fini illeciti dei colloqui dei detenuti coi loro familiari, sottolineando subito dopo che “è capitato anche in recenti inchieste palermitane che sono stati arrestati dei legali che fungevano poi da tramite per portare fuori gli ordini” e denunciando al riguardo il fenomeno della “concentrazione di assistiti al 41 bis in capo ad alcuni avvocati”». Concetto poi ribadito da Sebastiano Ardita. Ad un certo punto una voce fuori campo sosteneva che «sull’argomento la Commissione parlamentare Antimafia ha commissionato nel 2016 al Dap uno studio finora rimasto riservato: dal censimento degli avvocati che assistono i detenuti al 41 bis è emerso che moltissimi legali seguono tra i 10 e i 30 boss mafiosi in contemporanea e due avvocati in particolare sono arrivati ad assisterne 100».
Veniva poi diffuso un vero e proprio elenco di nomi degli avvocati, insinuando il dubbio che avessero svolgo il ruolo di messaggeri. Tra questi diversi del Foro di Roma. «Si deve pertanto rilevare come le gravissime insinuazioni in oggetto abbiano chiaramente leso l’onore e il decoro collettivo della nostra associazione». Nell’esposto querela poi si chiede di accertare come sia stato divulgato quell’elenco «definito nel servizio “come uno studio rimasto riservato” e “commissionato al Dap dalla Commissione parlamentare antimafia”, ovvero nell’ambito di poteri di indagine normativamente equiparati a quelli dell’autorità giudiziaria i cui risultati possono essere a loro volta secretati». Vi è stata la complicità di qualche membro della Commissione o del Dap nel fornirli alla redazione di Ranucci? Tutto questo, leggiamo ancora nella nota della Cp di Roma, «è addirittura avvenuto in prima serata pubblicando un elenco riservato della cui illegittima divulgazione riteniamo che i responsabili debbano essere chiamati a rispondere».