VITERBO – Riceviamo e pubblichiamo – Si deve constatare come da anni esistano due modi diametralmente opposti di valutare e considerare l’agricoltura e di conseguenza questo porti ad un’azione politica e legislativa nevrotica e contradditoria, figlia dei diversi atteggiamenti di cui sono stati portatori i governi e le maggioranze parlamentari succedutesi nel tempo. Frenate o addirittura retromarce e improvvise accelerate che da almeno un lustro non permettono di affrontare veramente i problemi dell’agricoltura. Né tantomeno di risolverli. Un’opinione pubblica divisa fra chi crede che il nostro settore sia la principale causa dei terremoti, delle macchie solari e della crocifissione di Cristo, grazie anche ad una deleteria ed ingannevole informazione che però fa tanto ascolto in televisione, e chi, più che credere, pensa che in base ai dati scientifici e a quelli più volgari ma piú facilmente comprensibili dell’export, l’agricoltura possa essere per tanti motivi un settore da preservare e accompagnare in uno sviluppo sostenibile e di lungo respiro. Figlia del primo atteggiamento è sicuramente una politica agricola europea che nasconde con grande fatica una chiara volontà di ridimensionare il settore primario europeo ed in particolare italiano. Non ne conosco i motivi, li posso solo intuire, ma ne tocco con mano le conseguenze. Minori risorse per tutti e seminativi, in particolare, abbandonati a loro stessi. Credo che da Firenze in giù diventerà una rarità vedere campi con cereali ed in particolare con grano duro, il cui prezzo è tornato su livelli ridicoli, con un tracollo del 40% in poche settimane, senza che nessuno provi o si degni di dare una spiegazione economica chiara e comprensibile di tale dinamica. Quando calano i mercati azionari di alcuni punti percentuali, sappiamo già prima della loro chiusura giornaliera i motivi dell’andamento ribassista; per le borse merci solo silenzio o spiegazioni confuse e di comodo. Tanto la pasta la facciamo con il desert durum dell’Arizona che ha un nome molto evocativo, da film western. Peccato che i primi a produrre Italian sounding evidentemente siamo noi, attraverso un made in Italy che non ha materie prime italiane. Temo che, così facendo, il giocattolino del nostro agroalimentare da 60 miliardi di export finirà prima o poi per rompere il suo prezioso meccanismo. Nel frattempo saranno contenti tutti quelli che vogliono trasformare le campagne in una sorta di “prato giardino” a disposizione per passeggiate (attenzione a lupi e cinghiali, orsi ancora non pervenuti) o per petit dèjeuner sur l’herbe, tanto il cibo non è un problema, costa poco, viene da fuori e i supermercati ne sono sempre pieni. Ma non perdo la fiducia e spero che il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (MASAF) funga da trattore a quattro ruote motrici e ci tiri via una volta per tutte da questo disgustoso pantano ideologico ed economico. In fondo, come sappiamo, la speranza rimane l’ultima compagna di ognuno di noi.
Remo Parenti Presidente Confagricoltura Viterbo-Rieti