TARQUINIA – Per la prima volta in aula, di fronte ai giudici della Corte d’Assise e ai familiari di Dario Angeletti, il professore associato dell’Università della Tuscia ucciso il 7 dicembre del 2021 alle Saline di Tarquinia (Viterbo), ha preso la parola Claudio Cesaris, imputato per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi.«È passato più di un anno, ma non mi riconosco in quello che ho fatto. Voglio chiedere perdono , perché ho dato tanto dolore». Il killer, che ha confessato l’omicidio, ha reso dichiarazioni spontanee: «quella persona non era il Claudio che è adesso, tantomeno il Claudio che per 68 anni ha avuto una vita integerrima» – ha affermato – «è una sofferenza immane, ho tolto la vita a una persona. La cosa mi angoscia, mi toglie il respiro, mi dà un immane dolore perché non c’è una giustificazione e ho privato la famiglia di un loro caro. Questo sarà il pensiero che mi accompagnerà, e mi accompagna, per tutto il resto della mia vita».
Per lui la sentenza arriverà il prossimo 10 maggio.
I difensori di Cesaris, Michele Passione e Alessandro De Federicis, di fronte alla corte d’Assise di Roma hanno tenuto oggi le arringhe finali. «Non giustifichiamo il fatto – ha detto De Federicis – difendiamo la persona, l’uomo e capiamo la rabbia delle parti civili per aver perso una persona cara, un nastro che purtroppo non si può riavvolgere. Cesaris era una persona che non aveva mai avuto problemi con la giustizia, può essere considerato carnefice ma anche vittima». L’accusa è di omicidio volontario, ha ucciso Angeletti con due colpi di pistola dietro l’orecchio destro, aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi e di atti persecutori verso la ex compagna. «Avendo commesso il fatto – si legge nel capo – nei confronti di persona che frequentava la ex compagna, dopo aver assunto informazioni sul conto della vittima, effettuato pedinamenti e sopralluoghi, essersi informato sulla possibilità di localizzare un telefono spento e sulla percentuale dei casi irrisolti di omicidio, essersi procurato un’arma diversa da quelle denunciate e con essa aver atteso che la vittima uscisse dal lavoro».