CIVITAVECCHIA – La nota giornalista romana Selvaggia Lucarelli è stata condannata per diffamazione nei confronti della collega fermana Sandra Amurri.
La Lucarelli, difesa dall’avvocato Lorenzo Puglisi, si era resa protagonista di alcune ficcanti battute su Facebook nei confronti della Amurri che, davanti al giudice del tribunale di Fermo, è stata rappresentata dagli avvocati Francesco De Minicis e Simona Cardinali.
Appresa la notizia la Amurri ha dichiarato: “Mentre lei, a seguire della chiusura di “Non è l’Arena” ha twittato la falsa informazione che nelle redazioni si rincorre la notizia che ci sarebbero state le forze dell’ordine in casa di Massimo Giletti, nonché in alcuni uffici amministrativi. Io posso dire che la notizia che la riguarda è vera: è stata condannata per avermi diffamata sui social definendomi “licenziata livorosa, una che è stata zitta finché pagata” e divenuta coraggiosa solo dopo essere stata “mandata via“. Tutto inizia nell’agosto 2020 quando la giornalista fermana commenta sui social un articolo a firma della Lucarelli sulla storia d’amore tra l’ex compagna di Berlusconi, Francesca Pascale, e la cantautrice Paola Turci, citando anche l’omosessualità della cantante Fiorella Mannoia. “Satira convergente da Novella 3000 – aveva scritto la Amurri – trionfo dell’eleganza! Povero il mio ex giornale”. E da qui gli insulti della Lucarelli: “I licenziati livorosi, che triste categoria. Peggio però sono quelli che fingono di non capire una battuta e strumentalizzano il femminismo e la solidarietà femminile per attaccare qualcuno (la Mannoia che è parecchio più intelligente di te l’ha capita senz’altro). Peggio ancora sono quelli che se ne stanno zitti finché prendono il loro stipendio in un giornale, poi quando vengono mandati via si scoprono improvvisamente coraggiosi e sputano veleno su ex colleghi. Amurri, fatti una vita“. Da cui la risposta tranchant della collega.
“Per tua informazione io non sono stata licenziata, me ne sono andata da un giornale che esiste, anche grazie a me e permette a te di scrivere ciò che scrivi. Ma non rivelerò altro perché, a differenza di te, il mio stile mi vieta di pubblicare messaggi ed email, compresi quelli che invii tu su chi ti paga. Sappi che di ciò che hai scritto qui, essendo totalmente falso e diffamatorio, ne risponderai nelle sedi competenti, così avrò il piacere di conoscere le tue autorevoli “fonti””. Quel giorno è arrivato.