Iscritta sul registro degli indagati anche la giornalista e opinionista Sandra Amurri. Negato ai difensori l’accesso al fascicolo
TERNI – Massimo Giletti e Sandra Amurri sono indagati dalla Procura della Repubblica di Terni. Da quanto appreso dal nostro Blog i due giornalisti sarebbero finiti sul registro degli indagati a seguito della querela presentata dallo stragista di Mafia (mai pentito e condanno all’ergastolo) Giuseppe Graviano detenuto nel carcere umbro dove sta scontando 6 ergastoli.
Il fascicolo (secretato) è nelle mani del capo della procura di Terni Alberto Liguori e del suo sostituto Giorgio Panucci (che materialmente sta svolgendo le indagini).
Cosa a dir poco sbalorditiva che questa querela sia arrivata ad una seconda fase come l’apertura di indagini a carico dei giornalisti e secretata anche se, ad onor del vero, resta prerogativa dei magistrati indagare se lo ritengano necessario.
Normalmente, a fronte di una normale querela per diffamazione (595 codice penale) i carabinieri notificano al querelato l’atto di denunzia e gli fanno eleggere domicilio.
Trovare elementi di diffamazione a carico di una stragista di Mafia è paradossale. Pensare che un mafioso possa aver subito un danno di immagine fa sorridere ma allo stesso preoccupa che qualcuno possa dargli credito.
Massimo Giletti, con la sua trasmissione “Non è L’arena” è stato artefice di uno dei più grandi scoop giornalistici degli ultimi venti anni e cioè l’intervista a Salvatore Baiardo, uomo dei Graviano, che “annunciò” l’imminente arresto dell’ultimo boss di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro.
Il giornalista piemontese ha pagato con la chiusura della trasmissione l’inchiesta sui Graviano e le presunte foto che avrebbero ritratto il boss con Silvio Berlusconi.
Nella querela di Graviano è finita anche la giornalista Sandra Amurri che, a Non è L’Arena, è stata formidabile opinionista.
La Procura di Firenze sta ancora verificando se a causare la chiusura del programma ci siano state pressioni sull’editore Cairo ascoltato un mese fa dai magistrati fiorentini.
Giuseppe Graviano compirà 60 anni alla fine di settembre. Si trova in una cella in regime di 41 Bis (carcere duro) dal gennaio del ’94 e cioè dal giorno in cui i carabinieri lo catturarono in un noto ristorante milanese.
Prima che il pentito di mafia Salvatore Cancemi, nel maggio 1994, lo indicasse come l’organizzatore per conto di Totò Riina della strage di via D’Amelio, di Giuseppe Graviano e di suo fratello maggiore, Filippo, si conosceva ben poco.
Giuseppe e Filippo Graviano si occuparono personalmente dell’assassinio di don Pino Puglisi, eseguito materialmente da Gaspare Spatuzza che, una volta pentito, raccontò i retroscena sui mandanti.
Per quell’efferato e ingiustificabile omicidio del parroco antimafia venne emesso il mandato di cattura a carico di Giuseppe e Filippo poi arrestati a Milano dove facevano la bella vita.
I Graviano ebbero un ruolo importante nell’organizzazione delle stragi del 1993 a Roma, Firenze e Milano.
Nel 1997 la Corte d’Assise di Caltanissetta condannò all’ergastolo Graviano per la strage di Capaci insieme ai boss Totò Riina, Bernardo Brusca, Leoluca Bagarella, Raffaele Ganci, Salvatore Biondino, Salvatore Biondo, Michelangelo La Barbera, Salvatore e Giuseppe Montalto, Matteo Motisi, Pietro Rampulla, Bernardo Provenzano, Benedetto Spera, Antonino Troia e Benedetto Santapaola.
Nel 1999, è ergastolano insieme ai boss Totò Riina, Salvatore Biondino, Carlo Greco, Gaetano Scotto e Francesco Tagliavia per la strage di via d’Amelio di cui Graviano secondo i vari pentiti azionò il telecomando dell’autobomba che uccise il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina.
Nel 2000 subì l’ergastolo insieme ai boss Matteo Messina Denaro, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Salvatore Riina per gli attentati dinamitardi del 1993 a Firenze, Milano e Roma.
Nel 2012, diventa nuovamente ergastolano per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo insieme al fratello Filippo e il boss Matteo Messina Denaro.
Il 24 luglio 2020 Graviano è stato condannato in primo grado all’ergastolo nel processo “‘Ndrangheta stragista” insieme a Rocco Santo Filippone (ritenuto il capobastone della ‘Ndrangheta di Melicucco) come mandanti del duplice omicidio degli appuntati dei Carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, uccisi in un agguato a Scilla (RC) il 18 gennaio 1994.
Il 25 marzo 2023 le condanne di Graviano e Filippone vengono confermate anche in appello.
Sposò in carcere Rosalia Galdi, detta “Bibiana”, che rimase incinta e diede alla luce un figlio nel 1997 nonostante il marito fosse ristretto in regime di 41-bis, come avvenne per la moglie del fratello Filippo (si parlò di inseminazione artificiale o di incontri clandestini in carcere).
In carcere, Giuseppe Graviano, oltre a portare avanti la battaglia contro il regime del carcere duro del 41 Bis, si dedica a sporgere querela nei confronti di chiunque si occupi delle sue vicende, come capitato a Roberto Saviano al quale ha chiesto addirittura la censura di un libro.
Torniamo a Giletti. Ripercorrendo le ultime puntate della trasmissione Non è L’arena rimane assai improbabile trovare elementi idonei a sostenere una diffamazione. Addirittura aggravata (comma 3). Fa specie inoltre immaginare possibile dar credito ad un personaggio di questo calibro, condannato in via definitiva a “fine pena mai” per le stragi del ’93 e fratello di Filippo autore delle riscontrate minacce di morte fatte proprio a Massimo Giletti.
In realtà ci sarebbe dell’altro perché il Procuratore di origini cosentine Alberto Liguori e il pm di Palmi, Giorgio Panucci (che stanno seguendo le indagini) che al momento hanno negato l’accesso al fascicolo ai querelati.