VITERBO – Riceviamo e pubblichiamo: Ritengo attuale e importante intervenire sulla vicenda del Generale di Divisione Roberto Vannacci, autore del libro “Il mondo al contrario” che sta suscitando tanto scalpore mediatico.
Prima di tutto i fatti, al di fuori dei quali siamo al chiacchiericcio da bar.
Il Generale di Divisione Vannacci non è, né può essere definito un pazzo. Egli è un ufficiale proveniente dall’Accademia Militare, qualificato Ufficiale di Stato Maggiore, brevettato incursore, comandante di Forze Speciali in Italia e in cicli operativi all’estero, comandante della Brigata Folgore, plurilaureato, conoscitore di più lingue straniere, tra i più giovani Generali Italiani, decorato con attestati italiani ed esteri, sottoposto a continue e pressanti valutazioni dalle quali è sempre stato giudicato eccellente, ma soprattutto e prima di ogni altra cosa, è un Soldato italiano che ha combattuto a lungo, con onore e con responsabilità elevatissime, pagando prezzi emotivi ed esistenziali sconosciuti ai più, di cui io invece sono personalmente cosciente.
Il libro che ha scritto e pubblicato a proprie spese, contiene concetti ovvi che, se non malignamente estrapolati, sono condivisibili ai più, quantomeno coerenti al comune sentire così inviso ai cosiddetti “radical chic”, ovvero “gli eterosessuali sono la maggioranza e costituiscono la normalità”, “la legittima difesa nella propria abitazione violata è certamente consentita e non dovrebbe essere punibile”, “la gestione delle politiche immigratorie è discutibile e fallimentare”.
Ho sempre odiato le discriminazioni, pertanto affermo che gli orientamenti sessuali sono fatti privati e non dovrebbero di per sé comportare catalogazioni o penalizzazioni di alcun tipo e certamente il diritto norma comportamenti ormai diffusi e acquisiti e questo è un fatto di assoluta civiltà giuridica ma, di contro, nessuno di essi può essere assunto o imposto come modello. Credo anche, sinceramente, che ove vengano garantiti diritti, cessi la spinta ostentativa.
Chiarito quanto sopra, giudico il massacro professionale, mediatico e giuridico del Generale Vannacci un fatto non commendevole (eufemismo). Voltaire sosteneva “posso non essere d’accordo con le tue opinioni, ma farò tutto il possibile perché tu possa esprimerle liberamente”.
Infatti di opinioni stiamo trattando, condivisibili o meno, esse sono giuridicamente protette dall’Art, 21 della Costituzione, dall’art. 11 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, dall’art. 10 della CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), oltre che da importanti sentenze della Corte Costituzionale (n.9 del 1965 “…la libertà di manifestazione del pensiero è tra le libertà fondamentali proclamate dalla Costituzione…”, n. 84 del 1969 “,,, la libertà di opinione è pietra angolare dell’ordine democratico”) e della Suprema Corte di Cassazione (Cassazione, sez. III, n, 22527/2006 “la libertà di espressione è tutelata come fondamento di ogni ordinamento democratico”).
Sbaglia certamente il Ministro della Difesa “pro tempore” ad esprimere giudizi preliminari colpevolisti senza che al Generale sia stata data l’ineludibile facoltà di difendersi nell’ambito di un eventuale procedimento disciplinare validamente costituito e regolarmente condotto.
Ancora più grave è l’allineamento pedissequo e acritico di molti organi d’informazione a tesi preconcette e esiti predefiniti solo perché provenienti dal potente di turno o prodromici a modelli imposti di “politically correct”, che molto spesso sono in realtà espressioni di una invadente dittatura operata da minoranze potenti e danarose.
L’informazione, libera e pluralista, è l’indispensabile prerequisito per una società che voglia ancora definirsi democratica e ho forti dubbi in proposito. Non condivido del tutto il senso dell’opportunità del Generale Vannacci e l’oggettiva carenza di un necessario riserbo per un ufficiale di alto rango ancora in servizio, ma egli ha il mio assoluto rispetto e la mia gratitudine, come dovrebbero averla tutti gli Italiani verso un loro Soldato.
Antonella Bruni