Una normativa che rimbalza fra Parlamento e Regioni, ma come funziona il meccanismo? E soprattutto chi è idoneo e chi no?
di Cristina Volpe Rinonapoli
VITERBO – Se si va sulla strada per andare a Tuscania, dalla litoranea, o dall’Aurelia verso l’interno, percorrendo la zona Quartaccio, adiacente il Paese di Montalto di Castro, non solo qualche campo di fotovoltaico è già abbastanza visibile all’occhio, ma sono i lavori per il cavidotto, sono i cartelli, di inizio lavori adiacenti i terreni, che lasciano immaginare quello che sarà.
Un gigantesco specchio, che nonostante lo stop della Regione Lazio, non conosce battute d’arresto. E questo è argomento che è stato ampiamente trattato dalla nostra testata, una normativa che non è di esclusiva competenza regionale, autorizzazioni che rimbalzano fra gli uffici, dove mettere un freno, per chi volesse, ad oggi sembra cosa impossibile.
Ma a parte cio?
Come funziona il meccanismo?
Nei giorni in cui proliferano, le richieste per la caccia ai terreni con annunci pubblicitari, molto espliciti: “vuoi vendere il tuo terreno? Rivolgiti a noi!”
Dunque siamo andati a capire, girando sul territorio. Si parla di fondi del Pnrr e di transizione energetica da compiere, in realtà, il business potrebbe andare avanti anche senza avvalersi delle sovvenzioni europee. Perché è tale il profitto che basta aprire un fondo di investimento presso una banca, e comincia il meccanismo, che a quanto pare produce introiti davvero a molti zeri, ed è talmente redditizio e perfetto, che ricevere i fondi sembra anche cosa superflua.
A guadagnarci non è solo chi investe, ma anche lo Stato stesso. Perché?
L’azienda che investe sul fotovoltaico ha un ritorno enorme, per capirci un ettaro a pannelli solari frutta anche fino a 400 mila euro l’anno, di questi utili nelle casse dello Stato entra almeno il 40%,. Insomma, è un investimento, sicuro, che porta guadagno e che mette in evidenza, come sia più redditizio mettere i pannelli che i pomodori, questo è poco ma sicuro, ma i fondi del Pnrr?
Le comunità energetiche? Sono prospettive che ci si era dati, in vista della transizione energetica, ma che in realtà, non sono necessarie, quando il business è strutturato cosi bene ed il ritorno è così importante.
In più nel meccanismo intervengono varie figure, dicevamo appunto del fondo di investimento, che viene creato presso una banca, dopodiché intervengo varie figure, che in questo gergo, chiameremo “sviluppatori”, sono delle figure tecniche che agiscono in nome e per conto di grandi società che hanno creato il fondo, geometri, architetti, tecnici, estremi conoscitori del territorio insomma , che non solo individuano i terreni, aree idonee aree non idonee, ma che mediano la compravendita, adocchiano piccole società che hanno già acquistato, non solo i terreni, ma soprattutto hanno ricevuto le autorizzazioni per metterli a fotovoltaico. Cosa succede da ora in poi? Che mettendo insieme piccole società, appunto, le grandi fanno il cosiddetto “cartello”, e da qui leggiamo di notizie di fotovoltaico per “tot “campi calcio ettari ed ettari per capirci consacrati alla causa.
Cosa determina tutto ciò: sicuramente la morfologia del territorio, la Tuscia ha una predisposizione naturale, grandi vallate, spesso pianeggianti, una crisi agricola -ad esempio non conosciuta in Emilia Romagna, che al contrario del Lazio- continua, anche grazie a politiche lungimiranti nel produrre in agricoltura, altro fattore è la rete già esistente di Terna, la partecipata dello Stato, che ha predisposto già il terreno, ed ancora la crisi energetica che spinge il nostro Paese a produrre questa nuova energia solare, anche se va specificato, che il fotovoltaico -pensato per l’efficientamento energetico dei palazzi, degli stabili, dei manufatti agricoli – non riesce – anche se predisponi ettari ed ettari – a supplire il fabbisogno energetico anche solo di Montalto di Castro, in soldoni : 75 ettari di pannelli solari non bastano per un Paese di 9 mila abitanti, quindi non risolvono il problema della crisi energetica. Quindi i benefici economici immediati esistono eccome, ma bisogna sfatare qualche fake news: non chiamiamola riconversione energetica, perché appunto il business potrebbe autoalimentarsi anche senza i fondi del Pnrr, che a quanto sembra non stanno neanche arrivando, o perlomeno non è grazie a questi che si sta procedendo.
Fra pochi anni, il re sarà nudo, quindi il rischio altissimo che si corre, è quello di aver reso industriale una zona a vocazione agricola, di aver deturpato paesaggi, e di aver creato lavoro, ma momentaneo! Perché finita questa “sbronza” la realtà apparirà evidente. Ed allora? Per il momento tutto regolare, proprio perché non regolamentato, può succedere che venga la grande società estera e faccia cartello, sacrificando terreno.
La politica dovrebbe avere lungimiranza, e puntare sulla riconversione agricola…perché con quella si salvano imprese, posti di lavoro, paesaggi e non ultimo, tradizioni secolari che caratterizzano il territorio.
Ma il “Dio del business” è capriccioso e vuole tutto e subito…e dopo? A quanto pare al momento nessuno si pone il problema del dopo. Tutto questo basta per avere una propria energia? Abbiamo detto di no…
Addio campagna, al contrario, paziente, meticolosa, che aspetta che dal seme esca il frutto. Se hanno abolito le mezze stagioni al fotovoltaico frega poco, i campi nascono in una settimana di lavoro. Pensa te! E per le zone idonee e non idonee, devi conoscere allo sviluppatore… di cui sopra. Amen.