“Olimpia, aveva tentato di sfuggire all’epidemia che era scoppiata in Roma, ma il flagello della peste, spostatosi a Viterbo, la raggiunse fin nel palazzo del suo principato di San Martino sul Cimino”
ACQUAPENDENTE – Dopo Prato (nel 2019) e Trieste (nel 2022), tocca a Palermo. Dove, dal 6 all’8 ottobre, si svolgerà il nuovo incontro firmato dal “Tavolo dei «postali»”, appuntamento informale che legge il mondo della posta secondo quattro approcci inconsueti: arte, conservazione, cultura, intrattenimento.
Coinvolgendo realtà pubbliche, come musei ed enti locali, o private, fra cui associazioni e singoli specialisti.
Una ventina di relatori, che si alternano tra il 6 e l’8 ottobre, presso la sala conferenze dell’albergo Joli (in via Michele Amari 11) proporranno interventi da quindici minuti con un unico filo conduttore, la posta. Si andrà dagli epistolari negli archivi alla propaganda svolta attraverso i francobolli, dalla mail art ai lavori con le cartoline, dalle influenze futuriste all’ufficio postale del Quirinale, dalla *disinfezione delle lettere in tempi di epidemia* alla Posta europea in Egitto… Una sezione specifica sarà dedicata alla Sicilia.
Si aggiungeranno due visite sul territorio: alle Poste centrali della città, progettate da Angiolo Mazzoni e tra i gioielli del settore, e alla Fondazione Sicilia (tra i tanti tesori, custodisce francobolli e lettere riferite all’epoca borbonica).
L’architetto Renzo Chiovelli relaziona l’8 ottobre su “Olimpia, la peste e la posta” un breve abstract del suo intervento.
“Olimpia, aveva tentato di sfuggire all’epidemia che era scoppiata in Roma, ma il flagello della peste, spostatosi a Viterbo, la raggiunse fin nel palazzo del suo principato di San Martino sul Cimino. – riferisce il prof. Chiovelli – Il 26 settembre 1657 l’indomita Donna Olimpia Maidalchini si arrendeva a quella subdola infezione che l’aveva inseguita fino a riuscire a contagiarla letalmente.
La peste da secoli riusciva a viaggiare velocemente da un luogo a l’altro, tanto da destare forte preoccupazione in chi si occupava di fare viaggiare altrettanto rapidamente persone e mezzi di comunicazione. Il viaggiare per le ‘poste’ e la spedizione di missive, furono infatti ben presto considerati tra i maggiori vettori della propagazione del morbo.
Pertanto, già a partire dalla fine del XVI secolo la disinfezione delle lettere, con metodi sia fisici e sia chimici, provenienti da aree sospette o sicuramente contagiate da malattie epidemiche, divenne la prassi comune ai varchi di confine di vari Stati per cercare di non fare entrare il morbo nei propri territori.
Una lotta che s’intensificò soprattutto dal 1700, quando furono codificate apposite norme, fino ancora al 1870, quando invece si scoprì che la ‘fumigazione’, la ‘profumazione’, lo spurgo nell’aceto, le essenze aromatiche bruciate e gli altri espedienti che venivano impiegati sino ad allora, non avevano in realtà nessun effetto sulla possibile trasmissione delle malattie epidemiche. Partendo dalla peste che fu fatale per Donna Olimpia, verranno ripercorse le tappe di questa lunga ed inutile lotta per la disinfezione delle lettere”.