Il ricercatore dell’Unitus di Viterbo fu ucciso il 7 dicembre 2021: il killer condannato a 25 anni ha ottenuto i domiciliari per motivi di salute. La sorella Maria Elena: «Le cure vanno garantite in un sistema di reclusione. Va bene tutelare Caino, ma c’è anche Abele»
TARQUINIA – “Signor ministro, che giustizia è mai questa? L’assassino di mio fratello, l’uomo che ha distrutto la sua vita, la nostra, e sconvolto i tanti che hanno voluto bene a Dario, compiendo un delitto tanto crudele, è già a casa dopo neanche due anni.
Va bene nessuno tocchi Caino, ma ad Abele ci pensa qualcuno?». Così inizia il racconto sul Corriere della Sera di Maria Elena Angeletti, 63 anni, insegnante di Musica alle scuole medie, quando pronuncia il nome dell’amato fratello minore, di 8 anni più piccolo, «persona troppo buona, come dimostra quel che è successo», non riesce a trattenere le lacrime.
Si gira tra le dita la lettera inviata via Pec al Gabinetto del ministero della Giustizia, ultimo atto di una battaglia che da mesi le toglie il sonno. E ancora Fabrizio Peronaci scrive: Lo scorso luglio sono stati concessi gli arresti domiciliari a Claudio Cesaris, il tecnico di laboratorio in pensione, con un passato da insegnante di judo, che esattamente due anni fa in località Saline di Tarquinia (Viterbo) uccise con due revolverate alla testa Dario Angeletti, 53 anni, padre di due ragazzi, uomo mite e gentile, biologo marino con un incarico di docenza all’università della Tuscia.
La scena del delitto
Fu un omicidio risolto rapidamente grazie all’evidenza delle prove e non per un pentimento del reo, che anzi tentò di fuggire: sul suo pc fu trovata traccia di ricerche sulla percentuale di delitti insoluti, a dimostrazione della premeditazione. Cesaris quel pomeriggio era riuscito a salire con una scusa nell’auto del biologo e fece fuoco in un parcheggio. Le telecamere avevano ripreso la scena e il movente emerse subito: il killer, all’epoca 68 anni, odiava il professore perché era diventato amico («una frequentazione da collega, tra loro non c’era nessuna relazione», precisa Maria Elena) di una donna di una trentina d’anni più giovane, dalla quale era stata lasciato. Cesaris fu arrestato nei giorni seguenti e dopo un anno e mezzo – il 10 maggio 2023 – condannato a 25 anni di carcere dalla I Corte d’assise di Roma. Ma già la scorsa estate, per ragioni di salute, ha ottenuto i domiciliari e lasciato Rebibbia, per rientrare a Melegnano (Milano), suo paese d’origine.
«Condannato a 25 anni, più della richiesta del pm»
Una decisione che ha lasciato interdetti i familiari. «Signor Ministro della Giustizia, mi chiamo Maria Elena Angeletti e sono la sorella del prof. Dario Angeletti, docente di Biologia marina di 53 anni presso l’Unitus di Viterbo, barbaramente assassinato da tal Cesaris Claudio, che lui non conosceva…» Dopo un breve riepilogo dei fatti, la lettera va al punto: «Non è mio intento raccontare l’intera assurda vicenda con il suo tragico esito... Dirò solo che questo individuo viene condannato a 25 anni e 2 mesi di carcere (il pm aveva chiesto 23 anni) per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e da futili motivi e a metà luglio apprendiamo con comprensibile sconcerto che la stessa Corte concede all’assassino gli arresti domiciliari, fino ad allora per due volte negati, presso casa della sorella, in provincia di Milano, per motivi di salute. Nel frattempo, è stata fissato al 15 febbraio 2024 il processo di appello…»
«Il reo va assistito, ma in condizioni di reclusione»
Maria Elena, nello scrivere la lettera-appello al Guardasigilli, Carlo Nordio, si è a lungo consultata con suo marito Marco Pane, professore di Lettere di liceo in pensione, e sottolinea di essere «in piena sintonia» con tutti gli altri parenti. Lungi da lei un istinto di «rancorosa vendetta», come precisa nel testo: «Signor ministro – aggiunge – noi familiari non abbiamo dubbi che questo provvedimento sia formalmente e giuridicamente legale, ma Le chiediamo: che giustizia è quella che dopo neanche 20 mesi di carcere manda a casa un omicida di questa natura? Tuttavia, nonostante l’opinione pubblica sia continuamente scossa da gravi analoghi fatti di sangue, non è nostra intenzione contribuire ad alimentare, con questo nostro intervento a Lei rivolto, atmosfere forcaiole, ma siamo assolutamente convinti che lo Stato ha sì il dovere di garantire a tutti gli imputati/detenuti assistenza e cure adeguate, nel rispetto del “senso di umanità” di cui all’art.27 della Costituzione, ma – è questo il punto – soprattutto per chi si è macchiato di crimini così odiosi, ciò deve avvenire all’interno della condizione di reclusione, che tenga in equilibrio i piatti della bilancia tra le responsabilità inestinguibili di un omicida e il doveroso risarcimento morale ed esistenziale di tutte le sue vittime, di fatto costrette a subire un “fine pena mai”».
Le domande di Maria Elena
Si sente anche lei condannata, la sorella di Dario Angeletti. Rivolgendosi al ministro, la donna sembra quasi dialogare con lui, cercare un conforto nelle istituzioni. Accade a molte delle famiglie toccate da provvedimenti giudiziari controversi o dalla mancata individuazione del colpevole: l’ergastolo dell’attesa di una giustizia giusta, capace (almeno in parte) di attenuare il dolore. «Il punto nodale del problema è proprio questo – prosegue la lettera al Guardasigilli Nordio – come Lei sa meglio di noi: a detta di tutti gli esperti del settore, il sistema carcerario fa acqua da tutte le parti (per mancanza di edifici, di spazi adeguati, di direttori, di presidi sanitari efficienti con il necessario personale medico e assistenziale, di educatori, di guardie, senza i quali il nobile principio della rieducazione è inattuabile) ma allora, da dove si comincia per alleggerire la pressione del numero dei detenuti? Dalla diminuzione delle pene a prescindere? Dai decreti “svuota carceri”? Da scorciatoie che spesso producono la reiterazione degli stessi reati? Dagli arresti domiciliari anche per i peggiori assassini?»
«Nessuno tocchi Caino, ma anche Abele va tutelato»
L’ultima domanda, per Maria Elena, è una ferita che gronda sangue. Dario Angeletti, che era stato pedinato per mesi dal killer roso dall’invidia e dal rancore, accettò di farlo salire pur non conoscendolo, perché Cesaris, fingendo di sentirsi male, gli chiese «un passaggio fino al parcheggio» in un grande piazzale sterrato alla periferia di Tarquinia. Poco dopo, un attimo prima di scendere, portò a termine il piano criminale estraendo la pistola e sparando al presunto rivale sotto l’orecchio, a bruciapelo. «Sottoponiamo quindi alla Sua attenzione, signor Ministro – conclude la sorella affranta – le nostre considerazioni e riflessioni di cittadini travolti da un evento terribilmente doloroso, perché possa adoperarsi con tutti i mezzi a Sua disposizione affinché si investano risorse adeguate per realizzare finalmente un Sistema carcerario moderno, ispirato a una filosofia diversa e globale del “fare carcere”, in cui si riesca a rendere fattuale quanto sopra evidenziato. In questo modo si riuscirebbe sì a garantire una vera Giustizia nel senso sopra detto: infatti, se è vero e giusto che “nessuno deve toccare Caino”, lo è altrettanto rendere piena giustizia ad Abele, perché altrimenti si finisce per relegarlo in secondo piano e considerarlo unicamente come un mero “incidente di percorso”, una sorta di “passaggio doloroso” sulla via della redenzione di Caino». Firmato: Maria Elena Angeletti.
Le spiegazioni dell’avvocato
Alessandro De Federicis, uno degli avvocati del reo, messo al corrente dell’iniziativa della famiglia della vittima, da un lato esprime vicinanza a Maria Elena Angeletti e dall’altro, con pacatezza, pone gli altri “pesi” sul piatto della bilancia. «Il mio assistito non ha scusanti, ha fatto una cosa orribile. Ma viviamo in uno Stato di diritto. La decisione dei domiciliari, oltretutto, è stata presa non su nostro sollecito, bensì su richiesta dell’infermeria del penitenziario, che ha inviato una relazione al magistrato sulla incompatibilità tra regime carcerario e le cure necessarie per le sue patologie, cardiopatia ischemica e tumore alla prostata. C’erano stati precedenti dinieghi, la Corte in precedenza aveva concluso che Cesaris potesse stare in cella. Dopo due ricoveri all’ospedale di Belcolle, però, la valutazione è cambiata. Ora è a casa e si sta curando. Se poi, a conclusione dell’iter processuale, dopo la sentenza di Cassazione, dovesse essere guarito o migliorato, nulla osterà a un rientro in carcere». La bilancia della giustizia oscilla di qua e di là. Il confronto è aperto. A partire dalle domande sulla funzionalità del sistema carcerario alle quali Maria Elena Angeletti, nel suo immenso e composto dolore, attende risposta.