New York – Ideologia woke, dall’inglese to wake, cioè “risvegliarsi” e università. Quella che dovrebbe combattere ogni forma di discriminazione etnica, sessuale, religiosa, che si è diffusa negli Stati Uniti soprattutto con il Black Lives Matter, e che, secondo la testimonianza al Corriere della Sera di una studentessa italiana, sta portando ad una deriva razzista verso i “bianchi”.
La testimonianza è firmata da una cittadina italiana che da quindici anni vive a New York. La donna, L. T. le sue iniziali, lavora in un’importante istituzione culturale italo-americana e vorrebbe cambiare mestiere per diventare un’assistente sociale e mettersi al servizio dei più bisognosi. Da qui la decisione di iscriversi a un Master della Columbia University. Ma a questo punto inizia la rappresentazione vivida del delirio dei risvegliati.
“In Italia mi considero una progressista, perfino radicale. A New York ora devo scusarmi in continuazione per essere bianca, quindi privilegiata e incapace di capire le minoranze etniche”, ha raccontato ai microfoni del Corriere della Sera: “Sono catalogata dalla parte degli oppressori. Passo il mio tempo a camminare sulle uova, a dribblare le regole della cultura woke, qualsiasi cosa dica o faccia può essere condannata come una micro-offesa rivolta contro afroamericani o latinos”. Ma è solo una parte, una piccola parte, della follia quotidiana vissuta nella prestigiosa università newyorkese.
L’italiana ha spiegato che per le prove di ammissione ha dovuto scrivere un saggio in cui anticipava il suo impegno nel razzismo anti-black, senza alcun cenno alle altre discriminazioni. Ha inoltre dovuto rinunciare al corso a cui era più interessata, dedicato all’assistenza ai tossicodipendenti, per una motivazione talmente illogica da sembrare false: “I non-bianchi hanno la precedenza”. La discriminazione a targhe alterne. Ma non è tutto, purtroppo, il peggio deve ancora venire: “Nella settimana iniziale del Master dedicata all’orientamento dei nuovi iscritti, a noi studenti bianchi è stato chiesto di scusarci con i compagni di corso neri per il razzismo di cui siamo portatori. E devo aggiungere questo dettaglio: perfino una studentessa afroamericana mi si è avvicinata per confessarmi il suo imbarazzo, lei stessa trovava quella situazione mortificante“. Lo zenit della furia woke: “Ogni due settimane una bianca come me deve partecipare a una riunione di White Accountability (‘responsabilità bianca’): due ore con una persona che ci interroga per farci riconoscere le nostre micro-aggressioni verso i neri e chiederci un pentimento”.
Una situazione preoccupante resa possibile dal sostegno dell’area progressista. Lunghissimo l’ elenco di frasi proibite all’interno dell’ateneo perché ritenute offensive. Ma non parliamo esclusivamente di turpiloquio: “Per esempio, non bisogna mai chiedere a un compagno di studi da dove viene: può suonare come un’implicita discriminazione etnica. Guai a chiedere verso quale campo di studi si orienta: se è nero quella parola può evocare una piantagione di cotone dove lavoravano i suoi antenati schiavi, se è di origini messicane un terreno agricolo dove suo nonno era bracciante. Se cadi in una di queste offese, devi dichiararla e chiedere scusa, poi fare un’analisi del privilegio bianco che ti ha indotto in errore“.