Un decreto di archiviazione per prescrizione che esprima apprezzamenti sulla colpevolezza dell’indagato viola “in maniera eclatante” il suo diritto costituzionale di difesa, il suo diritto al contraddittorio e il principio della presunzione di non colpevolezza.
Questo perché il provvedimento di archiviazione è un atto concepito dal legislatore come “neutro“, da cui non possono discendere conseguenze negative per la reputazione dell’interessato.
Lo ha chiarito la Corte costituzionale decidendo su una questione sollevata dal Tribunale di Lecce, a cui una persona, già sottoposta a indagini, si era rivolta dopo essere venuta per caso a conoscenza di un provvedimento di archiviazione per prescrizione già pronunciato nei suoi confronti, in cui si affermava, tra l’altro, che le accuse erano suffragate da molteplici elementi di riscontro.
La persona interessata – si legge nel comunicato diffuso dalla Consulta – aveva quindi proposto reclamo contro il provvedimento, manifestando al tempo stesso la propria volontà di rinunciare alla prescrizione.
Il Tribunale aveva rimesso la questione ai giudici costituzionali, chiedendo loro di introdurre – attraverso una pronuncia “additiva” di illegittimità – un obbligo, a carico del pubblico ministero, di avvisare preventivamente la persona sottoposta alle indagini dell’eventuale richiesta di archiviazione per prescrizione, in modo da consentirle di rinunciare alla prescrizione e ottenere una pronuncia nel merito.
La Corte ha ritenuto infondata la questione, affermando che il diritto alla rinuncia alla prescrizione non deve necessariamente riconoscersi anche a chi sia soltanto sottoposto a indagini preliminari. Allo stesso tempo, però, la sentenza (numero 41 del 2024) sottolinea che un provvedimento come quello di Lecce è “emblematico di una specifica patologia“, rappresentata dalle archiviazioni contenenti un giudizio di colpevolezza: giudizio a parere della Consulta “del tutto indebito”, anche perché, “una volta riscontrato l’avvenuto decorso del termine di prescrizione, gli stessi poteri di indagine e di valutazione del pubblico ministero sui fatti oggetto della notizia di reato vengono meno“.