Ad ottant’anni dalla scomparsa l’associazione e Centro Studi Cesare Dobici dà appuntamento ai cittadini sulla tomba del polifonista
VITERBO – Il 25 aprile alle ore 15,30 si terrà un momento commemorativo dedicato al grande musicista viterbese Cesare Dobici, in occasione dell’ottantesimo anniversario della scomparsa di questo grande artista viterbese. Sulla sua tomba, presso il Cimitero Monumentale di Viterbo, l’Associazione e Centro Studi Cesare Dobici deporrà un omaggio floreale e a seguire il presidente
Ferdinando Bastianini, la vice presidente Maria Loredana Serafini e la musicologa Wanda Folliero illustreranno brevemente, a chi vorrà intervenire alla cerimonia, la figura del Dobici, eminente polifonista e valido didatta.
CESARE DOBICI
Dopo i primi studi di pianoforte e composizione, entrò nel liceo musicale di “S. Cecilia” a Roma, dove si diplomò in composizione con Cesare De Sanctis nel 1899. Nella sua città natale, a Viterbo, iniziò la sua attività artistica quale direttore della Cappella Musicale del Duomo, nonché di didatta, con l’insegnamento del canto corale nella scuola magistrale “G. Carducci”.
La fama di Dobici, definito “il migliore didatta di tutta Italia”, fu legata soprattutto all’attività di insigne didatta, grazie alla rara competenza e profonda preparazione, nonché alla metodica chiara e paziente. Insegnò dapprima al “Reale Conservatorio Musicale di S. Cecilia” (divenuto Accademia Nazionale di Santa Cecilia in Roma) e poi al Pontificio Istituto di Musica Sacra a Roma, Qui gli furono affidate le cattedre di Armonia superiore e Metodica, Contrappunto e Fuga.
La sua attività didattica, particolarmente apprezzata, formò illustre generazioni di allievi italiani e provenienti da pesi esteri.
Dobici, insieme a Lorenzo Perosi, Luigi Bottazzo, Raffaele Casimiri, Licinio Refice, fu tra i fautori di un necessario rinnovamento della musica sacra, sulla scia del Motu proprio promulgato nel 1903 da Pio X: un processo di riforma orientato a nuovi intendimenti musicali, più vicini alla purezza del canto gregoriano e alla polifonia rinascimentale.
In un articolo de “Il Messaggero” di venerdì 25 febbraio 1947, a tre anni dalla scomparsa del musicista, il giornalista Alessandro Vismara così delinea con pochi ma decisi tratti la figura di quella che definisce una “gloria dell’arte viterbese”:
Malgrado la nostra avversione per i luoghi comuni, siamo costretti ad iniziare questa rievocazione di un’autentica gloria dell’arte e della cultura viterbese con una frase che ricorre molto spesso nelle biografie dei grandi artisti: “Suo padre voleva avviarlo alla carriera giudiziaria, ma egli fuggì di casa per darsi all’arte”.
Probabilmente il padre di Cesare Dobici non ebbe a dolersi troppo a lungo della mancata obbedienza da parte del figlio, perché questi riuscì ad acquistarsi ben presto una solida fama non solo negli ambienti musicali della sua città (dove a 12 anni aveva stupito tutti suonando con incomparabile maestria l’organo della Trinità), ma anche in quelli romani e poi del mondo intero.
Inoltre sempre nell’articolo del Messaggero del 25 febbraio del ’47 scrive Vismara, che aveva raccolto le testimonianze direttamente dalla famiglia del maestro:
figura di una rettitudine adamantina e dotata di un senso religioso della vita, il maestro Dobici non poteva approvare il fascismo, che egli, lontano dalla vita politica e tutto dedito ai suoi studi, condannava soprattutto in nome dei suoi saldissimi principi morali. Così egli fu incluso negli elenchi degli intellettuali antifascisti da deportare al nord, ma, quando le SS si presentarono alla sua abitazione di Roma, egli era già da qualche giorno partito per un ben più lungo viaggio. Anzi, nel vedere nel suo studio al posto d’onore le opere dei loro grandi compatrioti Beethoven e Wagner, i soldati nazisti sembrarono provare un umanissimo senso di vergogna e si allontanarono senza toccare nulla.
b.f.