Tarquinia – Una via intitolata a Fabrizio Quattrocchi, l’italiano giustiziato 20 anni fa in Iraq

TARQUINIA – Vent’anni fa, il 14 aprile del 2004, il genovese Fabrizio Quattrocchi, 36 anni, che lavorava in Iraq come guardia di sicurezza privata, venne ucciso a Baghdad da un gruppo di miliziani che si faceva chiamare “Falangi verdi di Maometto”.

Quattrocchi era stato rapito alcuni giorni prima, insieme ad altri tre italiani che sarebbero stati liberati 58 giorni dopo: Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio.

Il 14 aprile – due, forse tre giorni dopo il suo rapimento – Quattrocchi venne portato dai suoi sequestratori in un campo nella periferia di Baghdad. In un video diffuso dai sequestratori si vede Quattrocchi con le mani legate e una sciarpa a coprirgli la testa.

Viene fatto inginocchiare in una fossa. Toccandosi la sciarpa dice: “Posso levarmela? Così vi faccio vedere come muore un italiano!”. Pochi istanti dopo uno dei sequestratori spara alcuni colpi e lo colpisce al petto e alla testa. Il video fu trasmesso dalle televisioni di tutto il mondo.

I funerali si svolsero nella cattedrale di San Lorenzo e Quattrocchi fu sepolto nel cimitero monumentale di Staglieno. Due anni dopo, nel 2006, Quattrocchi ricevette la medaglia d’oro al valore civile alla memoria.

Ieri pomeriggio la mozione presentata dal gruppo consigliare di Fratelli d’Italia nell’ultimo consiglio comunale di intitolargli una via o una piazza è stata votata all’unanimità dei presenti.

Fabrizio Quattrocchi nacque a Catania il 9 maggio del 1968, ma crebbe a Genova. Fino al 2000 lavorò nella panetteria di famiglia, un lavoro che dovette lasciare a causa di un’allergia alla farina. Per un periodo si arruolò nell’esercito italiano, in fanteria, raggiunse il grado di caporal maggiore e prestò servizio a Como. Non partecipò mai a missioni all’estero. Quattrocchi era esperto di arti marziali e frequentò alcuni corsi di addestramento alla sicurezza personale.

Per alcuni anni lavorò per diverse agenzie investigative e di sicurezza, tra cui la IBSA, una società genovese. Il suo lavoro consisteva in sostanza nella scorta di persone, ma anche nel servizio di buttafuori davanti ai locali notturni. Nel dicembre del 2003 interruppe il suo lavoro con la IBSA. Il titolare della società raccontò che Quattrocchi era stato contattato da un genovese che gli aveva offerto un lavoro in Iraq con un’altra società italiana, la Presidium International Corporation (che, secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, lavorava a sua volta per una società americana di proprietà di un italiano, la DTS).

In Iraq il compito di Quattrocchi sarebbe stato la scorta e protezione degli impiegati di una multinazionale americana impegnata nella ricostruzione dell’apparato burocratico iracheno. Il suo compenso sarebbe stato molto più alto di quello che percepiva in Italia: tra i 6 e i 9mila dollari al mese, a seconda della situazione di rischio.

Con quel denaro, raccontarono i familiari nei giorni del rapimento, Quattrocchi sperava di potersi comprare una casa. Già nel dicembre del 2003, a nove mesi dall’inizio della guerra, Quattrocchi era in Iraq: per non farli preoccupare, disse ai suoi parenti di trovarsi in Kosovo.

Nella notte tra l’11 e il 12 aprile 2004 in varie redazioni italiane cominciarono a diffondersi voci su alcuni italiani rapiti in Iraq. In quei giorni la situazione nel paese era estremamente confusa: stranieri di varie nazionalità – non solo soldati: civili, giornalisti, contractors, personale delle ong – continuavano a essere sequestrati dalle bande armate che si opponevano all’occupazione americana. Il 13 aprile arrivò la conferma del rapimento dei quattro italiani.

Al Jazeera diffuse un video in cui Fabrizio Quattrocchi, Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio erano mostrati inginocchiati davanti a uomini armati. I sequestratori spiegarono di essere un gruppo di insorti chiamato le “Falangi verdi di Maometto” – una formazione che non si era mai sentita prima e che non si sarebbe più sentita dopo – e chiesero all’Italia di ritirare le truppe in Iraq, minacciando di uccidere gli ostaggi nelle loro mani. Il governo italiano, allora guidato da Silvio Berlusconi, rifiutò di trattare con i terroristi. Pochi giorni dopo il video con l’esecuzione di Fabrizio Quattrocchi venne recapitato ad Al Jazeera accompagnato da un messaggio:

Se il vostro primo ministro dice che il ritiro delle forze italiane dall’Iraq è fuori discussione, considerato che questo ritiro è legato alla vita di quattro dei vostri osservatori, ciò significa che egli non è interessato alla salute degli ostaggi, ma a compiacere i suoi padroni della Casa Bianca. Ed ecco, il primo ostaggio è stato giustiziato, e gli altri avranno il loro turno, uno per uno.

Cupertino, Agliana e Stefio vennero liberati 58 giorni dopo il loro rapimento, durante un blitz dell’esercito americano.