Marcello Colafigli, il ‘Bufalo’ della Banda della Magliana a capo della gang dei narcos. Arrestati due uomini membri della banda di Civitavecchia e Cerveteri residenti a Ladispoli

La Procura di Civitavecchia ha sventato una rapina facendo sequestrare alla banda una pistola, un taser, una paletta, una divisa e due placche di riconoscimento in uso alla Guardia di Finanza

ROMA – Vecchie ‘glorie’ del crimine romano alleate con le nuove mafie per importare quintali di droga in Italia. Perno centrale dell’organizzazione criminale, composta da 28 persone, smantellata all’alba di oggi dai carabinieri di Roma, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia, Marcello Colafigli, ex boss della Banda della Magliana.

Il ‘Bufalo‘, così è stato soprannominato Colafigli nella serie televisiva ‘Romanzo Criminale‘, nonostante in regime di semilibertà, era riuscito a pianificare cessioni ed acquisti di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti dalla Spagna e dalla Colombia, mantenendo rapporti con esponenti della ‘ndrangheta, della camorra, della mafia foggiana e con albanesi inseriti in un cartello narcos sudamericano.

Marcello Colafigli, è stato riconosciuto unitamente a Franco Giuseppucci, Enrico De Pedis, Maurizio Abbatino e Nicolino Selis. Gli affari criminali, venivano gestiti dal’ ex boss della ‘bandaccia’ anche alla compiacenza della responsabile di una Cooperativa Agricola, dove avrebbe dovuto svolgere l’attività lavorativa prevista dal regime di semilibertà, ottenendo la possibilità di allontanarsi a suo piacimento e di incontrare all’interno della cooperativa i propri sodali, aiutandolo a eludere le investigazioni.

Il Gip del tribunale di Roma, Livio Sabatini, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare per reati che vanno dall’associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga, alla tentata rapina in concorso, alla tentata estorsione in concorso, alla ricettazione ed al possesso illegale di armi, scrive nel dispositivo: “un’attitudine delinquenziale eccezionale quella di Marcello Colafigli, elemento storico della ‘Banda della Magliana’, resa ancor più evidente non solo dalla sua disinvoltura nell’intrattenere legami con figure criminali di primo piano o dalla facilità nel compimento di reati di varia natura ma, ancor più, dall’impermeabilità al trentennale periodo di carcerazione non essendo mutate né l’indole né la conoscenza delle dinamiche criminali nel territorio romano e nazionale”.

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Tra i noi più carismatici in ambito criminale, finiti nella rete degli investigatori, spiccano quello di Alessandro Brunetti di 61 anni conosciuto come ‘Sandro’ di Roma quello di Savino Damato, l’83enne soprannominato ‘il Vecchio’ originario di Barletta, in Puglia ma residente nella Capitale.

In posizione ancillare, rispetto al gruppo capeggiato da Marcello Colafigli, c’era poi quello degli albanesi, al cui vertice c’era Erion Hyseni alias ‘il Biondo‘ che insieme a Naser Xhylani alias ‘il Sud’ o ‘Leon’ con il connazionale albanese Roland Nurce soprannominato ‘Landi’ o ‘il Pischello’.

La gang degli albanesi, godeva di contatti con narcotrafficanti colombiani con cui concordavano grosse importazioni di cocaina dalla Colombia con il cartello dei Medellin e di hashish dalla Spagna, tra cui un maxi acquisto di droga dal 40 milioni di euro nascosti in alcune casse, provento di reati commessi il passato.

In mezzo ai 28 nomi spuntano quelli di Enrico Santini nato a Civitavecchia ma residente a Ladispoli e, altro personaggio di spicco, Domenico Fiorino, originario di Cerveteri ma anche lui residente a Ladispoli.

Marcello Colafigli, Alessandro Brunetti, Savino Damato, Salvatore Princigalli, Alessandro Abodi, Domenico Fiorini, Enrico Santini e Giovanni Boccarusso sono stati artefici e complici di una rapina a mano armata (ritrovata successivamente una Beretta mod. 34 calibro 9 con relativo munizionamento sequestrata grazie all’intervento della polizia giudiziaria della Procura di Civitavecchia) in danno di Giovanni Basile e delle persone che avrebbero accompagnato quest’ultimo, evento non verificatosi per le perquisizioni effettuate prima dell’esecuzione del colpo  al fine di interrompere l’azione criminale.

In particolare il gruppo aveva deciso di organizzare una simulata operazione di “cambio valuta” con Giovanni Basile contattato per il tramite di Giovanni Tassi, che avrebbe dovuto consegnare 250mila euro in banconote da 500 euro, unitamente a Massimiliano Bertolino e Alfonso Rullo, ricevendone in cambio un equivalente in banconote di piccolo taglio decurtato di una provvigione pari al 20%, quando invece avrebbero provveduto a sottrarla, al momento della consegna, con violenza e minaccia.

Santini, Fiorini e Abodi avrebbero fatto parte del gruppo di fuoco incaricato dell’esecuzione materiale della rapina che gli avrebbe fruttato, come parte, la somma di 100mila euro.

Durante le perquisizioni effettuate dai carabinieri, oltre alla pistola è stato rinvenuto un taser, una paletta segnaletica, una uniforme, tre pettorine e 2 placche di riconoscimento in uso alla Guardia di Finanza

In una intercettazione gli interlocutori parlavano della spedizione – che avrebbe impiegato circa 25 giorni – e dei contatti con quelli del porto che, come si vedrà più avanti, devono identificarsi con la criminalità organizzata che governa il porto di Napoli. Trenta milioni di euro il valore della cocaina che sarebbe dovuta arrivare, stipata in una nave nel porto partenopeo.

Nell’intercettazione ambientale, Brunetti, ribadiva a Tinti la richiesta di prendergli appuntamento per parlare di quaranta milioni di euro rovinati che bisognava cambiare. L’enorme quantitativo di denaro, da investire nell’operazione appartenevano a Colafigli, che li aveva nascosti in alcune casse prima di finire in carcere e che quando era uscito dalla galera li aveva trovati rovinati ed erano da cambiare.

La reazione di Antonio Mancini alla notizia è d’istinto: “Me piagne er core“. Oggi Marcello Colafigli, ‘Marcellone‘ o anche il ‘Bufalo‘ di Romanzo Criminale, è stato arrestato con l’accusa di controllare lo spaccio di stupefacenti all’interno di un sodalizio criminale con base logistica nella Capitale e operativo sul litorale laziale e proprio nell’area della Magliana dove è stato riconosciuto che insieme ad altri diede vita alla famigerata Banda.

Realtà, questa, di cui si è scritto tanto e che è stata mitizzata grazie anche a film e serie tv.

Mi dispiace per Marcello– ribadisce Mancini, l’Accattone della Banda della Magliana, all’agenzia Dire, anche lui nella banda e amico di vecchia data di Colafigli – È un ragazzo di una bontà, di una ingenuità e di una generosità unica“.

Quanto gli è successo “non mi ha sorpreso, perché per fare dei cambiamenti devi tagliare il cordone ombelicale di netto. In quell’ambiente tutti possono cambiare. Se avessi detto ‘mi ritiro’ per questo o per quel motivo, non è che mi avrebbero ammazzato o altro”. Però, specifica, se loro un domani “avessero avuto difficoltà, sarebbero andati da chi considerano un amico. A quel punto diventavo due volte infame, o me ritiravo indietro o stavo in mezzo alla strada per stare con loro“.

Lo stesso Mancini ha spiegato che la sua avventura nella Banda della Magliana si sarebbe potuta interrompere prima: “Io potevo finire prima, quando avevo un rapporto serio con una avvocatessa, che poi però ho tradito“.

Il motivo, comunque, ad un certo punto è arrivato: “Rispetto agli altri che stavano in carcere a Rebibbia con il collarino, io ci stavo con l’istinto ribelle. Io stavo nei carceri speciali dove era vietato un contatto con i parenti. Era nata mia figlia, che non potevo neanche toccare. Quando è nata la seconda ho detto basta, andate a fare in culo tutti quanti“. Tornando a Colafigli, “lo dico con una battuta, alla nostra età il rock ‘n roll non si può più ballare. A 70 anni ancora con queste cose… Ovviamente non faccio il fratacchione, mi dispiace quello che gli è successo, dopo quello che ha passato. Mi dispiace debba ancora combattere con queste cose“. Quello che per Mancini è certo è che comunque la Banda della Magliana non morirà mai: “Lo dico da sempre, la banda cambia solo pelle, cambia nome. Non c’è più Accattone, Marcellone, ma c’è. La banda non è morta. Gli vanno tutti dietro per la storia criminale. Organizzare una combriccola sarebbe facile per chiunque“.

Mancini ha vissuto per gran parte della sua vita nella periferia romana, a San Basilio: “Ai miei tempi c’era il prete che ci prendeva per un braccio per portarci in oratorio- ricorda- Oggi c’è un prete che porta i Carabinieri sotto le case degli spacciatori… Io dove sono ora ho trovato una chance, lo dico ai ragazzi che incontro. A San Basilio non tutti avevano un talento, tranne i vari Mannarino, Moro, Ultimo, Mauro Tassotti.

Con Marcello Colafigli “stavo dalla mattina alla sera- ricorda ancora- Io per esempio dormivo con la mia compagna, lui aveva la sua stanza. Una volta mi venne a svegliare dispiaciuto e arrabbiato perché usciva sullo schermo televisivo che Franco Giuseppucci usciva di galera e lo guardava con sguardo da rimprovero per il fatto che non lo avevamo ancora vendicato uccidendo i Proietti. E io lì a tranquillizzarlo, a calmarlo. Se oggi potessi parlargli, gli direi di venire con me, in quest’ambiente staremmo bene, ci divertiremmo. Io sono stato 10 anni a fare volontariato tra i disabili, oggi racconto nelle scuole la mia esperienza. Ogni tanto passo una giornata con Fulvio Lucioli– spiega, riferendosi a quello che è considerato il primo pentito della ‘bandaccia’- e insieme ricordiamo anche quei tempi ma tenendoli ben distanti da oggi!“. Marcelloè una persona buona e gentile, non ha avuto la sua possibilità“, conclude.