Roma – ​Immigrazione in Italia, i funzionari corrotti e l’esercito di “regolari” bengalesi

ROMA – L’inchiesta di carabinieri e Dda che ad aprile aveva portato all’arresto di Nure Alam Siddique, meglio conosciuto come “Bathcu“, storico leader della comunità bengalese a Roma, era partita proprio dalla denuncia di un suo connazionale che si era rivolto a lui per ottenere dei documenti di soggiorno.

È andando a esaminare un numero sempre crescente di extracomunitari che dichiarano di risiedere e lavorare negli stessi posti che i sospetti delle Questure si stanno concentrando sulle comunità bengalesi in Italia sempre più in grado di attrarre personale da inserire in ristoranti, minimarket e nell’ambulantato, scoperchiando una rete di colletti bianchi corrotti e abili falsari.

I controlli iniziano a monte, fin dalle Ambasciate di Sri Lanka, Bangladesh e Pakistan dove il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha imposto in primavera controlli sempre più stringenti data l’alta percentuale di documenti falsi che puntualmente vengono presentati non solo negli uffici diplomatici italiani ma anche in tutti quei Paesi di area Schengen dove ottenere l’autorizzazione per entrare in Europa.

PASSAPORTI IN BIANCO

La storia parte da lontano. Da quando nei primi anni Duemila vengono intercettati dalla polizia all’aeroporto di Fiumicino interi colli di passaporti regolarmente rilasciati dal governo del Bangladesh ma completamente in bianco. Il flusso degli immigrati dal Sudest Asiastico non si è mai fermato. «Ottenere i documenti falsi per il visto è facile.

Con 5-6mila euro si entra in Italia», rivela una gola profonda inserita nel mondo dei trafficanti di esseri umani. Chi non ha un documento falso alla partenza, spesso dichiara residenze e lavori fittizi finalizzati al rilascio del permesso di soggiorno o alla conversione del titolo di soggiorno per scopi umanitari a motivi di lavoro.

Chi si rivolgeva all’organizzazione messa su tra Lucca e la Garfagnana da otto tra pakistani e bengalesi, era disposto a pagare fino a 2500 euro per ottenere la dichiarazione di ospitalità e di lavoro per rimanere in Italia. A volte nient’altro che una fotocopia di una reale concessione.

I PREZZARI

Più basso il “prezzario” adottato da un sodalizio impegnato nel fare arrivare manodopera utile nei campi agricoli della provincia di Latina: 500 euro a pratica. A novembre la polizia di Roma Capitale irrompe nell’abitazione di un bengalese del Tiburtino che fa affari d’oro vendendo ai connazionali falsi permessi di soggiorno: gli trovano un tesoretto da 470mila euro nascosto nel materasso.

Agganciava i suoi clienti in un bar dell’Esquilino, per il servizio offerto pretendeva 13mila euro.

Non sempre i cittadini del Bangladesh sono complici, alcuni vengono di fatto raggirati. Non basta.

C’è un dato che più di tutti rappresenta il fenomeno di una rotta migratoria sempre più battuta, quello delle rimesse degli immigrati che nel 2022, secondo uno studio della Fondazione Leone Moressa, ammontano a oltre 8 miliardi di euro inviati dall’Italia. Il primato spetta proprio al Bangladesh a cui sono stati destinati 1,2 miliardi, quasi il 15% del totale, con un aumento del 26% rispetto al periodo 2020-2021. Al secondo posto le rimesse verso il Pakistan, 700 milioni