Santa Marinella – Si festeggia la patrona Santa Marina, per anni considerata un uomo

La Santa ha dato il nome alla città

SANTA MARINELLA  – Santa Marinella dopo circa quattro secoli è tornata da qualche anno a festeggiare la sua Santa Patrona, compatrona assieme a San Giuseppe.

Secondo il Martirologio Romano, si festeggia il 18 giugno, mentre il 17 luglio si celebra la traslazione delle sue reliquie da Costantinopoli a Venezia, dove la Santa divenne compatrona minore insieme a San Marco. Le notizie della sua vita sono chiamate legenda. Nella chiesa infatti si raccoglievano le gesta dei Santi, trascritte per essere di esempio a tutti i cristiani e venivano lette durante la messa, perciò si chiamavano “legende”: perché dovevano essere lette. A Venezia l’altare di questa santa è meta di pellegrini provenienti da tutto il mondo, in particolare dalle località dell’Italia centro meridionale, dove è ancora venerata.

“A Santa Marinella – racconta il prof. Livio Spinelli, autore di un volume di 450 pagine in attesa di pubblicazione – il suo culto fu introdotto intorno all’anno 1000, da una Comunità di Monaci Basiliani, provenienti dal Medio Oriente. Nel medioevo con lo spopolamento dell’Agro Romano se ne perse la memoria. Solo alcuni decenni fa iniziarono le ricerche, quando mio padre Ettore chiese al dott. Silvio Caratelli, sindaco di S.Marinella: “perché festeggiamo San Giuseppe invece di Santa Marina? “. Quelle ricerche furono da me proseguite finché riuscii a risalire al luogo d’origine di Santa Marina, sul Monte Libano, nella Grotta e nel Monastero di Qannobine, e il cui corpo incorrotto fu traslato a Venezia, ove tutt’oggi si trova in un’urna di cristallo, nella chiesa di S.Maria Formosa”.

La storia di Santa Marina

Marina era nata a Qalamoun nel Nord del Libano. Suo padre Eugenio era un pio uomo. Sua madre morì quando Marina era molto piccola. Ciò indusse il padre a rinunciare al mondo per ritirarsi nel Monastero di Qannoubine nella Valle Santa Qadisha, accompagnato dalla figlia, che vestì da maschio, introdotta ai monaci col nome di Marino. La giovane si dedicò alla pratica delle virtù monastiche con massima spiritualità e precisione. Un giorno, mandato in missione in una città vicina, dovette trascorrere da un amico dei monaci che sia chiamava Paphnotius, la cui figlia era incappata in adulterio e rimasta incinta. Quando il padre scoprì il fatto s’infuriò e la figlia attribuì la colpa al monaco Marino. L’uomo andò subito al Monastero dal Superiore che chiamò Marino e lo sgridò, ma questi non disse nulla per discolparsi. Il suo silenzio fu interpretato come ammissione di colpa e Marino fu condannato a svestire l’abito. Quando la figlia partorì, il nonno portò il bambino al Monastero e lo affidò a Marino che lo allevò con ciò che i monaci usavano dargli, latte di capra e avanzi. Marino sopportò la vergogna senza nessun lamento per 4 anni, poi il Superiore mosso a compassione lo riammise al Monastero sotto severissime condizioni. Marino perseverò nella sua opera ascetica fino alla morte quando i segni del suo volto brillavano di luce divina. Grande lo stupore dei monaci quando, nel preparare il corpo per la sepoltura, quando scoprirono che Marino era una donna. Il Superiore e i monaci s’inginocchiarono davanti al corpo immacolato, chiedendo perdono a Dio e all’anima della santa divina.