Scandalo spionaggio in Lombardia: dossier illegali su dipendenti di Heineken e Partesa. Oggi a Perugia Cantone chiederà il carcere per Striano e Laudati

I nomi degli otto lavoratori monitorati sono: Massimo Ricci, Paola Faustini entrambi di Latina;  Noemi Cannizzaro di Velletri, Tiziana Nitiffi di Colleferro di Polistena, Maria Ferraro, Lillo Calafato di Artena, Marco De Vellis di Frosinone e Marco Olimpieri di Amelia

MILANO – Un sistema di spionaggio e raccolta illecita di informazioni è stato scoperto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, che ha smascherato un’operazione illegale orchestrata dalle società di investigazione private Equalize e Mercury Advisor.

L’indagine, che ha portato a 51 indagati e all’arresto domiciliare dei vertici del presunto sodalizio, ha rivelato come queste società offrissero a grandi aziende internazionali, tra cui multinazionali come Heineken, servizi di spionaggio su dipendenti, concorrenti e privati cittadini.

L’accesso illecito alle informazioni avveniva tramite intercettazioni telematiche e l’uso di trojan, sofisticati software che consentivano agli hacker di ottenere un accesso completo a computer e telefoni delle persone monitorate, acquisendo così informazioni dettagliate, private e aziendali.

Tra le persone sotto sorveglianza spiccano otto dipendenti della sede Partesa di Latina, società di logistica del gruppo Heineken.

I nomi degli otto lavoratori monitorati sono: Massimo Ricci, Paola Faustini, Noemi Cannizzaro, Tiziana Nitiffi, Maria Ferraro, Lillo Calafato, Marco De Vellis e Marco Olimpieri.

Secondo gli inquirenti, alcuni manager di Heineken avrebbero commissionato questo monitoraggio per controllare lavoratori della rete commerciale che, in seguito, si sono dimessi per passare a una società concorrente. L’indagine ha identificato tra gli indagati anche tre membri del management Heineken Italia, i quali, a vario titolo, avrebbero commissionato e coordinato l’attività illecita, coinvolgendo le società investigative per pianificare e discutere le strategie di spionaggio.

Le pratiche illecite delle società di investigazione coinvolte si basavano su tecniche informatiche avanzate. Grazie a trojan che aggiravano i sistemi di sicurezza, Equalize e Mercury Advisor hanno installato nei computer dei lavoratori software appositamente modificati per non essere rilevati dagli antivirus, riuscendo così a catturare e registrare in maniera fraudolenta ogni comunicazione digitale, incluse email e messaggi personali su applicazioni come WhatsApp.

Inoltre, le società potevano contare sull’accesso a banche dati riservate, grazie alla collaborazione di un maresciallo della Guardia di Finanza in servizio alla DIA di Lecce, il quale, violando le sue funzioni, estraeva dati sensibili dagli archivi della SDI del Ministero dell’Interno e dell’Agenzia delle Entrate, integrando le informazioni personali dei dipendenti con dettagli riservati su eventuali precedenti di polizia.

Il sistema messo in piedi dalle società di investigazioni si è rivelato particolarmente sofisticato e, inizialmente, persino il sistema di protezione di Heineken ha faticato a rilevarlo. Tuttavia, un alert è stato poi inviato ai dipendenti, segnalando un’anomalia nei sistemi informatici. Di fronte all’allarme, uno dei manager indagati avrebbe agito prontamente, in accordo con i tecnici delle società di investigazione, rassicurando i lavoratori che si trattava solo di un tentativo di phishing risolto. Così, l’attività di spionaggio è proseguita indisturbata per diversi mesi, coperta da una giustificazione di facciata per evitare sospetti.

L’indagine ha portato alla luce un’operazione di spionaggio su vasta scala che coinvolge non solo il caso latinense ma anche una rete di interessi molto più ampia. Documenti dell’inchiesta mostrano che le due società milanesi avrebbero condotto attività simili per circa 400 clienti e accumulato oltre 15 terabyte di dati, spiando illegalmente quasi 800.000 persone. I profitti generati da questa rete sono stati ingenti, e le attività delle società coinvolte sono risultate collegate anche a interessi politici e perfino a rapporti con servizi di intelligence esteri, tra cui i servizi segreti israeliani.

Le accuse rivolte agli indagati sono molteplici e riguardano reati di accesso abusivo a sistemi informatici, violazione della privacy e abuso di potere da parte di pubblici ufficiali. Gli indagati sono accusati di aver utilizzato queste pratiche per finalità estranee ai compiti d’istituto, sfruttando la collaborazione di pubblici ufficiali, come il maresciallo della Guardia di Finanza di Lecce, che avrebbe fornito accesso alle banche dati istituzionali. A fronte di tali illeciti, i dati sono stati trasmessi attraverso canali protetti per sfuggire a eventuali controlli.

Heineken, secondo quanto riportato, sarebbe estranea a queste pratiche illecite. Tuttavia, la vicenda solleva interrogativi sulla responsabilità della multinazionale nel controllo dei propri manager e sulla loro eventuale tolleranza verso l’uso di tecniche investigative non conformi alla legge. Il caso resta dunque un tema di grande interesse, non solo per le implicazioni penali, ma anche per il dibattito etico che solleva riguardo al monitoraggio dei lavoratori e alla tutela della privacy nelle grandi aziende internazionali.

Finora l’ex pubblico ministero Antonio Laudati e il tenente della Guardia di finanza Pasquale Striano si sono sempre rifiutati di rispondere alle domande dei pm che li accusano di avere impiantato una macchina da dossier all’interno della Procura nazionale antimafia. Oggi arriva l’appuntamento che potrebbe indurre i due a cambiare linea difensiva: davanti al tribunale del Riesame di Perugia si tiene l’udienza in cui il capo della Procura locale, Raffaele Cantone, ribadirà la sua richiesta di mettere Laudati e Striano agli arresti. Una volta privati della libertà, i due potrebbero decidersi a spiegare finalmente quanto accadeva davvero negli uffici dove smistavano le segnalazioni di operazioni sospette provenienti dalla Banca d’Italia, diventate alimento per gli scoop antigovernativi del quotidiano il Domani ma anche per altre operazioni finora non emerse.

Nel luglio scorso il giudice preliminare di Perugia aveva respinto la richiesta di arresti, pur riconoscendo la sussistenza di «plurimi, gravi e precisi indizi di colpevolezza», perchè nè Laudati nè Striano potevano commettere altri reati. La Procura ha fatto ricorso, sostenendo che entrambi gli imputati stavano cercando in ogni modo di inquinare e nascondere le prove. Tra le manovra contestate a Laudati, la mail inviata a una lunga serie di soggetti istituzionali che sembrava chiamare in causa nella sua attività.

Tra i nodi che Laudati potrebbe sciogliere, se ora scegliesse di parlare, il più rilevante è il ruolo del suo capo di allora, l’ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho. In una recente deposizione davanti alla commissione parlamentare Antimafia, il colonnello della Guardia di finanza Stefano Rebechesu, ha spiegato che Laudati prendeva ordini da Cafiero, «tutte le funzioni promanavano come incarichi dal procuratore nazionale». Eppure Cafiero, oggi deputato 5 Stelle, continua a fare parte dell’Antimafia. E in questa veste potrebbe partecipare alle prossime audizioni di Cantone e del proprio successore Giovanni Melillo, rinviate dall’Antimafia proprio in attesa dell’udienza di oggi.