Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate: le due autorità violano i diritti umani, sentenza della CEDU

Negli ultimi tempi, uno dei temi di maggiore dibattito pubblico riguarda il caso del generale libico Almasri. Il suo arresto in Italia e la successiva liberazione da parte della Corte d’Appello hanno scatenato forti polemiche, con accuse e tensioni politiche. La mancanza di risposte da parte del Ministro di Grazia e Giustizia, Carlo Nordio, e la dura informativa in Parlamento, accompagnata da aspre critiche all’indirizzo della Premier Meloni e del governo, hanno contribuito ad alimentare il dibattito. Almasri è una figura controversa, accusata di gravi crimini contro l’umanità, tra cui stupri, violenze e torture.

Tuttavia, al di là di questo episodio, vi è un’altra vicenda che merita attenzione: le accuse rivolte alla Guardia di Finanza e all’Agenzia delle Entrate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

Secondo quanto riportato da diversi quotidiani, la CEDU ha stabilito che le modalità di ispezione adottate dalle autorità fiscali italiane costituiscono una violazione dei diritti umani, in particolare del diritto al rispetto del domicilio e della corrispondenza. La sentenza ha condannato l’Italia a risarcire ogni ricorrente con una somma di 3.200 euro. Le accuse riguardano le ispezioni condotte tra il 2018 e il 2022 nei confronti di diverse aziende, tra cui Italgomme Pneumatici e altre 12 imprese pugliesi.

L’aspetto più contestato dai giudici riguarda il “potere discrezionale illimitato” riconosciuto alla Guardia di Finanza e all’Agenzia delle Entrate, che possono avviare controlli in qualsiasi momento, senza limiti precisi sulla durata o sull’ambito di intervento. Durante queste ispezioni, gli agenti hanno accesso non solo ai documenti fiscali, ma anche ai computer e ad altri materiali non strettamente necessari per l’accertamento, potendo estendere i controlli agli studi professionali e agli uffici collegati alle aziende ispezionate.

La sentenza della CEDU evidenzia un problema sistemico: in Italia mancano regole chiare che definiscano i limiti delle ispezioni fiscali, stabilendo quando e con quali modalità le autorità possano effettuare controlli. Attualmente, il soggetto ispezionato non ha la possibilità di presentare un ricorso immediato, ma può agire solo una volta conclusa l’ispezione e ricevuto un avviso di accertamento o una cartella esattoriale. Questo lascia spazio a possibili abusi e situazioni in cui il potere di controllo risulta sproporzionato rispetto alle necessità dell’indagine.

Ora, con questa sentenza, l’Italia è chiamata a rivedere le proprie normative in materia di ispezioni fiscali, garantendo un maggiore equilibrio tra la necessità di controllo da parte dello Stato e la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini e delle imprese.