Difficile dimenticare quei momenti anche nella Tuscia: strade vuote, passeggiate attorno casa, poche attività sportive concesse, bollettini quotidiani e continui aggiornamenti su contagi e decessi nei 60 Comuni della provincia
VITERBO – “Sto per firmare un provvedimento che possiamo sintetizzare con l’espressione ‘Io resto a casa’. Ci sarà l’Italia come zona protetta. Non c’è ragione per cui proseguano le manifestazioni sportive, abbiamo adottato un intervento anche su questo. Gli spostamenti in tutta Italia saranno possibili solo per motivi di lavoro, necessità o salute”. Con queste parole, il 9 marzo 2020, Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown dell’Italia.
Sono passati cinque anni ma il discorso dell’ex premier rimane impresso nella mente di tutti. L’emergenza Covid, ormai superata, ha lasciato strascichi enormi con quasi 27 milioni di casi totali accertati e 198mila morti solamente nella nostra nazione.
Difficile dimenticare quei momenti anche nella Tuscia: strade vuote, passeggiate attorno casa, poche attività sportive concesse, bollettini quotidiani e continui aggiornamenti su contagi e decessi nei 60 Comuni della provincia.
“Le nostre abitudini vanno cambiate ora – proseguì Conte nel suo discorso -. Dobbiamo rinunciare tutti a qualcosa per il bene dell’Italia”.
I cambiamenti furono enormi e durarono per anni. Le mascherine, le riaperture e le successive chiusure, le terapie intensive al collasso, i vari decreti, la speranza di tornare quanto prima alla normalità. Una normalità che fortunatamente è stata riabbracciata ma con conseguenze purtroppo tragiche per molti.
Nella giornata di ieri, l’infettivologo Matteo Bassetti, ha rilasciato alcune dichiarazioni all’Adnkronos ricordando i tratti salienti di quei momenti di cinque anni fa.
“Io sono stato sempre abbastanza critico non tanto sul fatto di aver chiuso in quel momento l’Italia, perché allora era l’unica soluzione, ma per avere mantenuto il lockdown per troppo tempo – ha spiegato il medico -. Il problema non fu all’inizio, ci siamo svegliati con un virus nuovo che faceva casi e vittime e si doveva intervenire, ma dopo in una fase successiva dell’emergenza si è continuato con le chiusure e obblighi, come la Dad per le scuole o le mascherine sempre o dove mangiare e a che ora, sono state esagerate. Il 9 marzo però il lockdown era l’unica cosa da fare, il giudizio sui primi tre mesi deve vederci concordi perché alcune scelte impopolari andavano prese. Sul dopo invece alcune decisioni non sono state corrette. Questo doveva essere il compito della Commissione parlamentare d’inchiesta e non altro”.