VITERBO – La desertificazione diffusa del centro storico di Viterbo è una prospettiva inquietante che purtroppo in gran parte si è già realizzata: basta aggirarsi in qualunque orario del giorno in strade come il corso Italia o via Saffi per averne puntuale conferma.
Eppure in città pare che non si voglia prendere atto del drammatico dato di fatto, anzi il gioco preferito è quello di farne solo un problema di mancanza di parcheggi o di tirannia incombente degli ormai sempre più presenti grossi centri commerciali edificati improvvidamente ben dentro la cinta urbana.
Le soluzioni comunque potrebbero essere ben più semplici di quel che si sospetta, io le ricondurrei prevalentemente a due possibili proposte base: la chiusura totale alle auto (con successivo progetto serio di nuovo arredo urbano) e la creazione di uno o più eventi nazionali originali (cioè mai svoltosi da nessuna parte) che per la loro unicità potrebbero richiamare un turismo numeroso e di qualità.
Si può anche affiancare a quanto suddetto la costruzione di un parcheggio multipiano centrale dalle tariffe possibili che tolga ogni alibi vittimistico agli automobilisti no stop, cioè a tutti coloro che non riescono a spostarsi a piedi neanche se il percorso è in casa propria, dal vestibolo alla camera da letto.
Ora possiamo parlare anche due ore, indire consigli straordinari, organizzare seminari e assemblee pubbliche su assemblee pubbliche, se non si chiude una buona volta per tutte al traffico e non si crea qualcosa di appetibile e mai visto in giro per i potenziali visitatori, soluzioni ulteriori non esistono.
A meno che che non si preferisca il solito sbandieramento ogni volta di alternative tampone già in partenza sconclusionate, la solita scusa per fare melina e lasciare ogni cosa al suo posto.
Semplicemente Viterbo, le sue istituzioni, i suoi cittadini dovrebbero decidere una buona volta e per tutte cosa voler fare della propria bellezza, vilipesa dalla noncuranza, e delle sue poche, ma spendibili potenzialità.
Tutto il resto è noioso controproducente parlarsi addosso.
(Pasquale Bottone)